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Huawei Shenzhen

Che cosa succede a Shenzhen, cuore di Huawei

L'approfondimento di Giuseppe Mancini da Shenzhen, sede del quartier generale di Huawei

 

Il 2019 è stato un anno difficile per la Huawei. Gli attacchi e le sanzioni di Donald Trump l’hanno gettata nell’occhio del ciclone: se nell’immediato la performance sui mercati è stata preservata (i ricavi sono cresciuti complessivamente del 18%, secondo le ultime stime), il 2020 presenta sfide esistenziali per sostituire al meglio i componenti di origine americana negati, sia microprocessori sia software come Android.

Ma è l’impatto in termini di reputazione – quindi, nel medio-lungo periodo – che può rivelarsi devastante. Del tutto inaspettatamente, l’azienda cinese è stata quindi costretta a difendersi dalle ripetute accuse degli Usa davanti all’opinione pubblica mondiale.

La controffensiva al fuoco concentrico dei media si fonda su due iniziative parallele: far parlare direttamente il fondatore Ren Zhengfei, in una serie di conversazioni diffuse online e di interviste a testate internazionali; aprirsi alle visite di giornalisti stranieri, lo scorso anno circa 4.000 (provenienti soprattutto dai paesi dell’Asia, ma anche occidentali).

Qui a Shenzhen ci sono il quartier generale, i campus per ricerca-sviluppo e gli stabilimenti produttivi della Huawei che si estendono anche nella vicina Dongguan.

La risposta alle accuse di Trump? Rigetto totale.

Le argomentazioni? Huawei è tenuta a rispettare le leggi dei Paesi in cui opera; nessuno ha mai fornito la prova di vulnerabilità nei propri prodotti che consentirebbero l’appropriazione indebita di dati altrui; mettere a rischio la sicurezza dei propri clienti porterebbe a un rapido fallimento.

Huawei è diventata un colosso mondiale solo perché è nata e si è sviluppata lì e non altrove.

Shenzhen si trova sulla costa sud-orientale della Cina, in riva al fiume delle Perle: ha una storia millenaria come insediamento di pescatori e mercanti, a differenza della vicina Hong Kong – appena al di là di una baia – non è mai diventata possedimento coloniale.

La svolta è arrivata però nel 1979, quando Deng Xiaoping l’ha scelta per istituirvi la prima “zona economica speciale” della Cina: un esperimento per rendere più libera ed efficace l’economia cinese, aperta alle aziende straniere e al mercato.

Il museo di Shenzhen racconta quest’epopea con cimeli dei primi operai (dalle tute agli utensili), con i primi prodotti tecnologici, con foto e plastici che testimoniano la trasformazione di un piccolo insediamento in metropoli da 15 milioni di abitanti.

Una metropoli oggi fitta di grattacieli e già “smart” grazie all’uso di autoveicoli elettrici e nuove tecnologie, dall’intelligenza artificiale che regola il ritmo dei semafori ai pagamenti fatti dappertutto via smartphone.

Shenzhen ha attratto gli innovatori, li ha messi in competizione tra di loro: i migliori hanno conquistato i mercati internazionali.

La Huawei ha approfittato anche della maggiore apertura: ha affidato alla Ibm – nel 1997 – la costruzione del suo modello organizzativo, ha adottato la filosofia giapponese del kaizen (“miglioramento continuo”), ha scelto macchinari di varia provenienza – anche occidentale – per assemblare le sue linee produttive.

L’accettazione virtuosa di ciò che è diverso e straniero – macchine, idee, persone – è una delle caratteristiche fondamentali della Huawei.

L’azienda è presente con i suoi prodotti in 170 Paesi, dispone di centri di ricerca e per l’innovazione in quasi ogni parte del globo. E Shenzhen stessa non è particolarmente rappresentativa della Cina. È invece una città pienamente inserita nel mondo globale e interconnesso del XXI secolo, per di più lo influenza coi suoi prodotti innovativi: è infatti sede non solo della Huawei, ma ad esempio anche della Oppo o della BYD che produce veicoli elettrici.

L’immagine di apertura, di integrazione, è testimoniato secondo il vertice del gruppo, dal nuovo campus di Songshan, 120 ettari riservati alla ricerca e sviluppo. Il grande parco è una sorta di Disneyland, dove il fondatore ha voluto riprodurre porzioni significative di città che hanno fatto la storia d’Europa, da Versailles a Oxford passando per Bologna e Verona (tutte collegate con un treno elettrico). Gli edifici seguono richiamano l’architettura originale, ospitano uffici dove lavorano 2.000 persone.

L’idea è forse di rassicurare. Come per dire: “Non abbiate timore, siamo un po’ come voi”.

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