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Neuralink

Vi spiego che cosa si può fare (anche di utile) con un chip nel cervello. Il commento di Pelanda

L'articolo di Carlo Pelanda, analista e saggista di geopolitica economica, sull'idea di Elon Musk di impiantare un chip nel cervello

È tempo per il capitale di valutare investimenti sulla biocibernetica o non ancora, in particolare su endo-protesi di potenziamento del cervello? L’avvento di un’Età della «biocibernazione» (nome creato da chi scrive negli anni 80) è stato profetizzato già da tempo. Nel 2000 Bill Joe, direttore scientifico di Sun Microsystems, scrisse: nel 2030 le tecnologie dell’informazione, bio e nano si fonderanno generando una speciazione post-umana. Ancor prima Raymond Kurzweil lanciò programmi di potenziamento tecnologico delle facoltà umane e di discontinuità evoluzionistica: la «singolarità».

Ma le aziende pronte a mettere sul mercato biochip cerebrali rinunciarono per timore di dissensi che avrebbero compromesso la capitalizzazione iniziale in Borsa. Così come Google interruppe, per problemi di vulnerabilità legale in materia di privacy, la vendita di occhiali costruiti come protesi di potenziamento delle funzioni visive-informative del cervello. L’intento dichiarato da Elon Musk di costruire chip da impiantare nel cervello segnala che ora i tempi sono maturi? Il potenziale tecnologico c’è. Nei sistemi autoritari la ricerca è più avanzata per l’assenza di problemi di consenso, ma è scarsa la vera libertà di impresa. L’innovazione, infatti, richiede o la guerra o una relazione amplificante tra libertà, tecnologia e capitale e in questi la prima non c’è. Nelle democrazie c’è, ma manca il consenso a causa del conflitto tra tecnica e morale.

Chi scrive invocò un gizmo nella testa quando quattordicenne nel 1965 giocava a scacchi a occhi bendati nel Caffè San Marco di Trieste, all’ombra della più grande sinagoga d’Europa. I limiti del cervello umano, forzati, erano evidenti e frustranti. Nell’evoluzione, infatti, ha avuto successo, finora, la cooperazione tra individui e non il supercervello illimitato. Tuttavia, la complessità crescente dei compiti cognitivi ha bisogno di un secondo cervello ausiliario, un «metagolem». Ma ciò genera orrore nei più. A meno che non sia capace di salvare, disse allo scrivente un vecchio rabbi di passaggio.

Tale battuta mostra la via: trasformazioni della configurazione umana naturale sono accettabili solo se chiaramente salvatrici. Per esempio, controllo di Alzheimer e Parkinson, ripristino di vista e udito, autoriparazioni in generale. In sintesi, si può ipotizzare che i biochip cerebrali possano ottenere consenso solo se chiaramente finalizzati a salvazioni mediche. A tale condizione l’investimento è valutabile in un orizzonte di 10-15 anni. Aperta questa porta poi, come accade da secoli, la morale si adeguerà alla tecnica.

 

Articolo pubblicato su MF/Milano Finanza

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