skip to Main Content

Riders Procura Uber Eats Italia Licenziamenti

Che cosa è successo a Uber Italy

Il tribunale di Milano ha disposto il commissariamento della filiale italiana di Uber. Il provvedimento è stato emesso per il presunto sfruttamento dei rider utilizzati nel servizio di consegne dei pasti. Tutti i dettagli

E’ fissata per il 22 ottobre l’udienza per la discussione del provvedimento di amministrazione giudiziaria di Uber Italy, la filiale italiana della multinazionale del noleggio e delivery, commissariata per caporalato.

Nel frattempo i giudici del tribunale di Milano, sezione misure di prevenzione (presidente Fabio Roia), hanno nominato un amministratore giudiziario che controllerà tutti i movimenti della società e parteciperà alle riunioni di management.

IL TRIBUNALE

Il provvedimento è stato preso dopo l’indagine coordinata dal pm Paolo Storari. Sono stati proprio alcuni dipendenti del colosso americano a tenere rapporti con gli intermediari accusati di caporalato, configurando, con il loro atteggiamento, la responsabilità diretta della società nel reato individuato dagli inquirenti.

I RIDER

Uber Italy, secondo i giudici, avrebbe “consapevolmente” sfruttato i rider in diverse città italiane, da Milano a Monza, da Torino a Bologna, da Roma a Firenze e non solo.

IL TESTO DEL DECRETO

https://twitter.com/MicheTiraboschi/status/1266432344761741318

Che cosa scrivono i magistrati? Il “regime di sopraffazione retributivo” ai danni dei rider del servizio Uber Eats, “reclutati in una situazione di emarginazione sociale”, si è aggravato con “l’emergenza sanitaria a seguito della quale l’utilizzo” dei fattorini “è progressivamente aumentato a causa della richiesta determinata dai restringimenti alla libertà di circolazione”, tanto che “potrebbe aver provocato anche dei reclutamenti a valanga e non controllati”.

LE INDAGINI

Al centro delle indagini, condotte dal Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf di Milano e coordinate dall’aggiunto Alessandra Dolci e dal pm Paolo Storari, c’è il servizio Uber Eats, gestito dalla società italiana che fa capo ad una holding olandese del gruppo Uber.

LE INFORMAZIONI DEL SOLE 24 ORE

Chi sono i rider? “Richiedenti asilo, sistemati in centri di accoglienza, con permessi di soggiorno a tempo per motivi umanitari; «persone disposte a tutto, per avere i soldi per sopravvivere, sfruttate e discriminate», scrivono i giudici della Sezione Misure di Prevenzione (Fabio Roia, presidente, Veronica Tallarida e Ilario Pontani). Una condizione che li fa accettare turni “dalle 11 alle 24”, racconta uno; di non avere ricevute di pagamento; di dover restituire 80 euro in caso di rottura o perdita della borsa; di essere operativi in precise fasce orarie; o di accettare comunicazioni come questa: «Attenzione! Gli importi presenti sull’applicazione sono errati». Questo perché la cifra sull’app del fattorino includeva anche la mancia stabilita da chi aveva ordinato la cena, ma non era scontato che quei soldi arrivassero a chi aveva pedalato. «Per le mance, se il cliente me la consegnava in contanti, le mettevo in tasca; se invece erano versate sull’applicazione, venivano trattenute», racconta un rider. «La promessa era di accreditarle dopo sei mesi, ma questo – conferma un altro – non è mai avvenuto». In una tabella, acquisita dopo una perquisizione della Gdf, c’è il riepilogo dei pagamenti: se in una settimana nessuno ha ricevuto un bonus, non pochi hanno subito decurtazioni fino a 35euro. Tra i motivi, non aver avuto una «percentuale di accettazione superiore al 95%». Da calcoli degli stessi indagati intercettati sarebbero state «pari a 21mila euro le mance rubate ai rider. Inoltre – riportano i giudici nelle 60 pagine del decreto – lo sfruttamento si sarebbe realizzato anche nel derubarli sulla cauzione di 70euro per ritirare zaino portavivande, sponsorizzato da Uber»”, ha scritto oggi il Sole 24 Ore.

COSA SCRIVE REPUBBLICA

Ci sono anche due società milanesi, la Frc e la Flash Road City, per le quali formalmente i rider lavoravano, anche se, scrive la Sezione misure di prevenzione (presieduta da Fabio Roia) che ha disposto l’amministrazione giudiziaria, Uber era “pienamente consapevole della situazione di sfruttamento” dei rider pagati “3 euro l’ora” e “puniti” anche togliendo loro le mance e parte dei compensi, riporta Repubblica.

LA DGF

Strettissimi – in base ai rilievi della Gdf milanese – i colloqui tra alcuni di loro e i “caporali”, titolari delle intermediarie che tiranneggiavano i fattorini. Lo si evince soprattuto da quanto riportato in una chat appositamente creata e chiamata “Amici di Uber”.

LA PAGA

In questo modo si sarebbe potuta giustificare la paga inferiore – ossia 3 euro fissi a corsa – al posto della tariffa chilometrica prevista in realtà.

LE ACCUSE

Secondo i giudici, i manager non potevano non essere “consapevoli” della condizione di sfruttamento in cui erano costretti i corrieri, anche se non erano loro dipendenti diretti.

LE CITTÀ

Le città dove ingaggiavano i fattorini – quasi sempre richiedenti asilo – per conto della multinazionale erano Milano, Monza, Torino, Bologna, Roma e Firenze.

I NUMERI DI UBER EATS

In Italia, Uber Eats consegna in 14 città e nel tempo si è avvalsa delle gambe di 1.429 rider, ricostruiscono gli inquirenti, la maggior parte dei quali (527) a Milano, dove si affida a due società di logistica – una delle quali è la FRC – che a loro volta «subappaltano le consegne degli ordini ai fattorini, collaboratori occasionali o provvisti di partita Iva».

COSA SCRIVE IL SOLE 24 ORE

Stando a quanto gli indagati FRC scrivono in una memoria difensiva, Uber imponeva di «rispettare il loro forecast indicato settimanalmente», minacciandoli di «togliere ristoranti o città». E dichiarano anche di «non aver mai forzato alcun ragazzo» e che «solo i manager di Uber potevano bloccare l’account», utilizzato per le consegne, riporta il Sole 24 Ore.

IL TWEET DEL GIUSLAVORISTA ICHINO

Back To Top