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Basta leggere “l’Esperimento” per capire perché Casaleggio ha messo alla porta Iacoboni

Di Augusto Bisegna e Carlo D’Onofrio “Se in America il giornalismo è il cane da guardia del potere, in Italia è il cane da compagnia. O da riporto”. Si potrebbe partire da questo aforisma di Marco Travaglio per raccontare quello che è successo a #Sum02, la kermesse organizzata a Ivrea dall’associazione di Gianroberto Casaleggio, cui…

“Se in America il giornalismo è il cane da guardia del potere, in Italia è il cane da compagnia. O da riporto”. Si potrebbe partire da questo aforisma di Marco Travaglio per raccontare quello che è successo a #Sum02, la kermesse organizzata a Ivrea dall’associazione di Gianroberto Casaleggio, cui è stato vietato l’ingresso a un “cane da guardia” come Jacopo Iacoboni, giornalista de La Stampa e autore del libro inchiesta “L’Esperimento” edito da Laterza.

Un libro che dovrebbe, visti i risultati della campagna elettorale e vista la reazione di Davide Casaleggio, entrare nel dibattito pubblico, essere letto e studiato da chi fa politica, ma anche da qualche sindacalista, considerata la fascinazione esercitata ed il consenso raccolto da questo “partito – non partito” tra i lavoratori (pubblici e privati). Iacoboni racconta “L’Esperimento”, la nascita di un partito politico come spin off di un’azienda digitale, citando dati, fatti, testimonianze. Una storia intricata, una matassa che l’autore dipana pagina dopo pagina.

Siamo negli anni ’90, in una azienda di consulenza informatica, la Webegg. A capo c’è Gianroberto Casaleggio – perito informatico, programmatore e analista, ex studente non laureato di Fisica – che qui dà vita alle sue prime ricerche sulle reti aziendali (intranet). Casaleggio è già un manager navigato. Pochi anni prima era stato a capo delle operazioni italiane della britannica Logicasiel (poi Logica general System), che oltre a occuparsi dello sviluppo di sistemi per grandi soggetti industriali (Fiat, banche e piccole aziende) intratteneva rapporti anche con il governo del Regno Unito e con i suoi servizi di intelligence.

Da questo retroterra – culturale, ambientale e di relazioni – muove Iacoboni per ricostruire la natura del Movimento. Si parte da una premessa: alla fine degli anni Novanta ciò che oggi costituisce l’infrastruttura digitale delle nostre vite private e professionali – social network, reti, tecniche di analisi dei dati, compresa la profilazione di cui tanto si è parlato a proposito del caso Cambridge Analytica – è sostanzialmente sconosciuto agli attori che si agitano sulla scena pubblica, partiti in testa. Eppure in embrione quel mondo esiste già. Il World Wide Web nasce infatti nel 1991, Google arriva nel 1997, Facebook nel 2004, Twitter nel 2006.

Sono gli anni in cui la sinistra italiana passa da una guerricciola civile ad un’altra e si divide sull’intervento in Kosovo o sulle sorti dell’Ulivo, strozzato in culla dagli intrighi di qualche dottor Faust e dalle mattane di un altro Fausto, il Bertinotti nazionale. Nel mentre il centrodestra, la cui leadership è saldamente nelle mani di Berlusconi, passa anch’esso di baruffa in baruffa, anche se le liti a corte (eccezion fatta per l’ultima, epica disfida tra Re Silvio e l’aspirante al trono Gianfranco Fini culminata nel “che fai, mi cacci ?”) non conoscono il pathos degli scontri che terremotano la sinistra. Il denominatore comune a destra e sinistra è comunque la sostanziale incomprensione di cosa si agita nel sottosuolo della politica italiana, dove Casaleggio, usando la rete come veicolo delle sue sperimentazioni di psicologia cognitiva e ingegneria sociale, fa le prove dell’assalto al cielo.

Queste prove Iacoboni se le è fatte raccontare da uno che c’era, un antemarcia si sarebbe detto un tempo (ma pentito): Carlo Baffé, un giovane ingegnere bolognese in transito alla Webegg. Ecco come funzionava l’Esperimento: “Ci vedevamo in una riunione ristretta per decidere “cosa lanciare sulla Intranet”, per usare un’espressione di Roberto”, racconta Baffé. Un banale forum aziendale, all’inizio, per discutere apertamente di qualsiasi argomento. A un certo punto “si iniziò a usare il forum per far passare certe posizioni di Roberto come se fossero frutto di una discussione democratica. Il metodo, organizzato in queste riunioni, era il seguente: un membro del gruppo funzionale Intranet lancia la discussione su un tema, un altro membro risponde con una posizione contrastante, poi altri due membri prendono le parti del primo. Un po’ alla volta i normali dipendenti prendevano le parti del primo, e si creava quella che Roberto chiamava la “valanga del consenso”. Ogni tanto venivano inseriti nel forum rotture o rumori di fondo o distorsioni pilotate dell’opinione, testate sia sui punti di vista sostenuti dall’iniziatore della discussione, sia su quelli che lo avversavano in maniera più critica. Tecniche che verranno replicate su larga scala sui social media, dove i Cinque Stelle sono in grado di generare sistematicamente l’effetto branco che mette in fuga i dissenzienti.

A metà del 2004 nasce la Casaleggio & Associati. I soci fondatori sono cinque: Gianroberto, il figlio Davide e due ex dirigenti di Webegg, Mario Bucchich e Luca Eleuteri. Casaleggio senior, cui la politica piace e ancor più piacciono i politici d’assalto, i mattatori, cura il blog di Antonio Di Pietro, con un certo successo. Ma l’ex pm non ha le phisique du role, non è lui quello che può scompaginare la galassia politica della Seconda Repubblica, peraltro instabile di suo.

Ci vuole altro. E questo altro Casaleggio lo trova nel “paziente numero zero dei Cinque Stelle”, alias Beppe Grillo, che dopo una fortunata e ben remunerata carriera da comico televisivo s’è ritagliato una seconda vita da guru alternativo. Beppe Grillo è il primo sul quale l’Esperimento viene testato. E funziona. Sono gli anni del Blog che macina clic e soldi, con post e video contro la casta, contro i giornalisti, contro i vaccini, contro l’Europa e l’euro; nascono i primi meetup, il Verbo si diffonde, fino all’adunata rituale del Vaffa day.

Del resto sempre di format si tratta, benché digitale e non televisivo. “Al minimo dubbio, nessun dubbio”, è il motto col quale Casaleggio governa l’azienda e governerà poi il Movimento, facendo fuori chi manifesta anche la pur minima perplessità sulle sue scelte (chiedere a Pizzarotti e alla lunga lista degli espulsi). Una cosa è chiara: nell’universo pentastellato è la forma – e non il contenuto – a costituire la sostanza. Non importa davvero “chi parla”, non importa davvero “che cosa sostiene”. Un po’ come al Grande Fratello, gli interpreti sono fungibili, conta solo lo spartito, che si scrive nella stanze milanesi della Casaleggio&Associati.

Questa filosofia è alla base del M5S, dove uno vale uno anche se poi uno vale tutti. Iacoboni riporta un episodio illuminante. Marzo 2014, il Blog ci va giù duro con Laura Boldrini, presidente della Camera. I Casaleggio boys postano un video in cui un ragazzo, nella sua macchina, rivolge alla Boldrini una serie di domande facete; nulla di particolarmente pesante – va bene, il senso dell’umorismo non è degno di P.G. Wodehouse, però si è visto di peggio – senonché il titolo è un invito al teppismo verbale: “Cosa fareste in macchina con la Boldrini?”. Il capo della comunicazione M5S della Camera Nicola Biondo ci resta male e chiede conto al gran capo in persona. La replica di Casaleggio è la quintessenza del cinismo: “Nicola, noi dobbiamo imparare a canalizzare il sentiment della Rete e usarlo. Oggi abbiamo sbagliato ma il risultato che ne è venuto fuori ci dice che la Rete è dalla nostra parte. È la Rete che decide la reputazione delle persone. Per il futuro dobbiamo essere in grado di canalizzare questo sentiment senza apparire direttamente, governandolo”. Agghiacciante ma lucido, un manifesto della cyberpropaganda con cui il Movimento infesta la rete.

Da tutto ciò è facile dedurre che pure gli ondeggiamenti, a volte capriole vere e proprie, con cui i Cinque Stelle affrontano questioni dirimenti dell’agenda politica – dall’immigrazione al rapporto con l’Europa, dai diritti civili alla giustizia – non sono dovuti all’improntitudine di qualche comprimario che si sente primo attore, o magari al presunto doroteismo del “capo politico” Luigi Di Maio (con tante scuse ai dorotei veri), bensì ad un calcolo preciso. Il che spiega anche perché nel corpo del Movimento alberghino tante anime quante sono le sfumature dell’arcobaleno politico: perché si rivolge ai suoi potenziali elettori con le tecniche del marketing virale, indirizzandoli verso il prodotto che meglio assicura conforto alle loro ansie e soddisfazione ai loro desideri. E’ chiaro che con queste premesse un Di Maio o un signor Rossi pari sono.

Contano i dati, non le persone. “Il Movimento si fonda sul possesso dei dati. Non è la sostanza, ma una forma”, scrive Iacoboni nel capitolo dedicato a Farage, Tra Cambridge Analitica e Breitart, in cui vengono passati in rassegna i rapporti intessuti dalla Casaleggio&Associati con i partiti antisistema europei, compresa la Lega Nord, con la Russia e Wikileaks. La battaglia per il controllo dei dati non è del resto una novità dei nostri tempi. “I partiti tradizionali, Pci e la Dc ma anche il Pd attuale, hanno sempre combattuto al loro interno contese leggendarie per detenere gli elenchi degli iscritti, o le leve del tesseramento. Chi aveva nelle mani le liste poteva controllare l’organizzazione cioè la vita del partito”, ricorda Iacoboni. Il Movimento ha aggiornato le tecniche di lotta, malgrado il dilettantistico approccio con cui Casaleggio gestisce i suoi server e la piattaforma Rosseau, un colabrodo digitale più volte hacherato, con tanti saluti alla credibilità delle votazioni e al mito della democrazia diretta.

Augusto Bisegna e Carlo D’Onofrio

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