Va delineandosi la linea difensiva che ByteDance, software house cinese proprietaria del popolarissimo social TikTok (nel quale sono presenti entrambi gli sfidanti alla Casa Bianca, Kamala Harris e Donald Trump, nonché l’attuale inquilino Joe Biden) intende tenere nei confronti delle accuse che le sono state mosse dal Dipartimento di Giustizia. Ma andiamo con ordine.
LE ACCUSE USA A BYTEDANCE
Sia il Dipartimento di Giustizia Usa sia i legislatori statunitensi sono convinti che TikTok sia nelle mani del governo cinese, perciò potenzialmente pericoloso per due ordini di ragioni: anzitutto l’algoritmo che decide cosa appare agli utenti potrebbe essere adulterato per scopi propagandistici, inoltre, c’è la questione sicurezza dei dati e possibili malware spia: l’app potrebbe bucare la sicurezza dei device sui quali è installata o comunque inoltrare a Pechino dati degli utenti.
LA REPLICA DI TIKTOK
Esistono prove? No. Come del resto è difficile stabilire con certezza quanti e quali dati vengono raccolti dalle più diffuse app occidentali. A ogni modo, Il colosso cinese, che nel primo trimestre 2023 aveva realizzato un utile operativo di quasi 6 miliardi di dollari, di fatto doppiando i risultati conseguiti l’anno precedente, con un fatturato da 85,2 miliardi di dollari nel 2022, ha replicato alle accuse affermando che il motore di raccomandazione dei contenuti e i dati degli utenti sono archiviati negli Stati Uniti su server cloud gestiti da Oracle.
Inoltre, le decisioni sulla moderazione dei contenuti che riguardano gli utenti statunitensi vengono prese negli Stati Uniti. La Cina non avrebbe insomma la possibilità di ficcanasare sull’intero processo.
L’ULTIMATUM AMERICANO
Per non fare la fine di Huawei, bandita quando alla Casa Bianca c’era Donald Trump, ByteDance dovrebbe liberarsi di TikTok, nel senso che le è stato imposto di cederlo a una software house della quale il governo americano possa fidarsi.
Una soluzione che però il colosso asiatico ha prontamente respinto al mittente: non solo per non perdere la fetta di mercato a stelle e strisce (170milioni di utenti americani, tra cui appunto il Presidente degli Stati Uniti e i suoi successori) ma anche per l’impossibilità tecnica – dicono da TikTok – di alienare un simile ramo d’azienda in così poco tempo.
Inoltre, una legge cinese impedisce alle aziende radicate in Cina di vendere senza l’ok dell’autorità nazionale, in particolare se ci sono di mezzo know-how e soluzioni hi-tech, come gli algoritmi alla base del social.
L’INCOGNITA TRUMP
Trump col suo bannum a Huawei è stato antesignano delle espulsioni americane di aziende cinesi, eppure in campagna elettorale ha espresso parole a favore di TikTok, sostenendo che aiuta la concorrenza ed evita che più persone si iscrivano ai social di Mark Zuckerberg, con cui il tycoon è in rotta dai tempi in cui a essere bannato fu proprio lui, da Facebook.
Eppure, fu proprio Trump a proporre per primo il bando della piattaforma cinese amata da giovani e giovanissimi firmando anche un ordine esecutivo in tal senso. “Gli Stati Uniti devono adottare azioni aggressive verso i proprietari di TikTok per proteggere la nostra sicurezza nazionale”, si leggeva nell’ordine esecutivo del 2020, poi bloccato da un ricorso in tribunale.