Nel maggio del 2019 Donald Trump, al suo primo mandato presidenziale, avviava le ostilità commerciali con la Cina bandendo i prodotti del colosso asiatico Huawei dagli States e, di conseguenza, le sue app dai principali store virtuali a iniziare da quelli Apple e Google. Sei anni dopo, nonostante l’importante menomazione subita dagli Usa, non solo Huawei non è uscita di scena, ma si appresta a lanciare un sistema operativo capace di terremotare un intero mercato, aprendo una faglia tellurica che corre da Cupertino a Mountain View, fino a Redmond dove ha sede Microsoft. Quella, infatti, la geografia a stelle e strisce dei software iOS, Android e Windows utilizzati da decine e decine di persone nel mondo su device fissi e portatili per lo studio, il gaming e il lavoro (inclusi, è bene sottolinearlo, i dispositivi al servizio nelle pubbliche amministrazioni). HarmonyOS si avvia a diventare il primo sistema operativo made in China capace di detronizzare gli Usa da un comparto nel quale non hanno mai avuto rivali. Finora.
HARMONYOS TERRORIZZA GLI USA
E gli Usa come la stanno prendendo? Male. Anzi, malissimo. Il problema americano, però, è che hanno già esaurito le opzioni sul tavolo fin dal 2019, bandendo i prodotti Huawei dai 50 Stati. Ecco perché nella lettera che due membri del Congresso statunitense – il repubblicano John Moolenaar e il democratico Raja Krishnamoorthi – in una richiesta curiosamente trasversale, si supplica Trump di fare pressioni sui Paesi amici affinché non adottino HarmonyOs.
I due politici sono rispettivamente presidente e membro di spicco della House Select Committee on the Chinese Communist Party, comitato in seno alla Camera istituito nel 2023 che nell’ultimissimo periodo sembra aver polarizzato i propri report in chiave anti cinese: “Gli Stati Uniti – si legge nella missiva grondante di paure e sospetti – dovrebbero esaminare attentamente l’architettura e il codice sorgente di HarmonyOS e assicurarsi che i nostri alleati e partner in tutto il mondo siano a conoscenza del controllo” governativo “di Huawei e, di conseguenza, del Partito Comunista Cinese su HarmonyOS”, affermano i politici, peraltro dimostrando di aver già tratto importanti conseguenze ancor prima di aver esaminato il software.
NON SOLO HUAWEI: LA CINA FA SEMPRE PIÙ PAURA AGLI USA
Secondo la lettera bipartisan gli Usa di fronte alla minaccia rappresentata dalla commercializzazione di HarmonyOs hanno un solo obiettivo: “assicurarci che non diventi un sistema operativo diffuso a livello globale, vista la sua rilevanza per la sicurezza nazionale e le implicazioni geopolitiche”. Il rischio paventato dal rappresentante democratico e da quello repubblicano che è “HarmonyOS possa contenere backdoor e vulnerabilità progettate per facilitare lo spionaggio. Inoltre, nel contesto dei dispositivi mobili, l’uso di HarmonyOS corrisponderà all’uso dell’app store di Huawei, conferendo al PCC potere di veto sulle decisioni di download di un dispositivo da parte dell’utente e la possibilità di accedere a codice sensibile”.
“I SISTEMI OPERATIVI USA DEVONO RESTARE LEADER GLOBALI”
Il presidente Moolenaar ha poi dichiarato ai media: “HarmonyOS è sviluppato e di proprietà di Huawei, che è controllata dal Partito Comunista Cinese, punto e basta. Dà a Pechino il controllo sul software installato su telefoni, automobili e dispositivi intelligenti in tutto il mondo. Gli Stati Uniti devono guidare una risposta globale: indagare sul suo codice, avvertire i nostri alleati e impedire che venga integrato in infrastrutture critiche e sfruttato a fini di spionaggio”.
Krishnamoorthi è persino andato oltre: “Non dovremmo permettere al lupo di Huawei di entrare nel nostro pollaio. Invece di reagire prontamente una volta che HarmonyOS sarà integrato nei dispositivi di tutto il mondo, dovremmo essere proattivi e garantire che i sistemi operativi americani continuino a essere leader globali”. Difficile non rubricare simili dichiarazioni a stregua di farneticazioni, ma con Trump il consesso anti-cinese rischia di trovare una sponda di peso alla Casa Bianca.
Huawei non è il solo bersaglio della House Select Committee on the Chinese Communist Party a guida Moolenaar: negli ultimi giorni infatti l’attenzione del comitato è stata attratta dall’Ipo da record (raccolti 4,6 miliardi di dollari) del colosso cinese delle batterie elettriche Catl, che il Pentagono all’inizio di quest’anno aveva etichettato come una società al soldo dell’esercito cinese, e soprattutto dal ruolo nell’operazione di Bank of America e JPMorgan colpevoli di aver partecipato alla raccolta di capitali, “ignorando gli avvertimenti del governo e mettendo a repentaglio la sicurezza degli Stati Uniti. Il Congresso deve rafforzare le norme sugli investimenti in uscita per impedire ai capitali statunitensi di aiutare i nostri avversari”, tuonano via social.
E TRUMP COSA FARÀ?
In quest’ottica, difficilmente la fragile pax commerciale degli ultimi giorni tra Washington e Pechino potrà perdurare, anche se Donald Trump almeno al momento preferisce dare ascolto agli imprenditori hi-tech (da Tim Cook a Elon Musk) che hanno detto e ripetuto che non è possibile pensare di trasferire le filiere delle multinazionali dalla Cina agli States, sia per una questione di maggiori costi, sia per mancanza di manodopera altamente specializzata.
Resta ora da capire cosa intenderà fare il presidente degli Stati Uniti con Huawei: avendo già bannato sei anni fa i prodotti del colosso cinese farà davvero pressioni sugli alleati e i partner affinché facciano altrettanto? Utilizzerà nuovamente i dazi come clava per rendere le sue richieste difficilmente rifiutabili?
Parallelamente è sempre più probabile che HarmonyOs possa finire nei computer statali dei Paesi non allineati con Washington, a iniziare dai Brics – il raggruppamento che Trump certo non ama di economie mondiali emergenti, formato da Brasile, Russia, India e Cina con l’aggiunta di Sudafrica, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Iran e Indonesia – arrivato ormai a rappresentare il 51% della popolazione e il 40% del Pil mondiale. Una prateria vergine sterminata e in continua espansione e affamata di tecnologia, per Huawey e per il suo HarmonyOs. L’ultimo ban di Trump ha consentito alla Big Tech cinese di diventare la rivale numero 1 delle software house americane, un secondo round potrebbe permetterle di accaparrarsi una quota di mercato immane.