Non più tardi di un paio di settimane fa, Epic Games, sviluppatore di Fortnite e di altri videogiochi popolari, ha vinto in un tribunale australiano contro Apple e Google riuscendo ad affermare anche nell’emisfero australe la propria visione dei fatti, ovvero che i due giganti della tecnologia hanno abusato della loro posizione di mercato rimuovendo nel 2020 Fortnite dai rispettivi app store perché la software house aveva progettato un sistema di pagamenti integrato per aggirare quelli “ufficiali”, ovvero previsti da Cupertino e Mountain View, sui quali i due colossi tecnologici applicano balzelli per ogni download.
LA LITE TRA APPLE ED EPIC GAMES PROSEGUE IN TUTTO IL MONDO
Finora i giudici, aditi ai quattro angoli del globo, hanno dato ragione a Epic Games, riconoscendo che le condotte di Apple e Google fossero mirate a ridurre la concorrenza nelle modalità di pagamento dei negozi virtuali obbligando gli sviluppatori dei videogiochi (e non solo, di qualsiasi app) al pagamento delle loro commissioni.
RIASSUNTO DELLA TELENOVELA AMERICANA
Di fronte alla giustizia statunitense la questione si è ulteriormente incancrenita: lo scorso aprile il tribunale aveva accusato Apple di non aver rispettato l’ordine originale e di aver continuato a imporre restrizioni.
In quella occasione la giudice Yvonne Gonzalez Rogers aveva emesso un’ulteriore ingiunzione inibendo ad Apple la facoltà di imporre commissioni sugli acquisti in-app effettuati al di fuori del suo ecosistema e, contestualmente, aveva vietato a Cupertino di limitare ancora la modalità e il posizionamento dei link che rimandano a piattaforme di pagamento al di fuori del proprio store.
NUOVA IMPUGNAZIONE NEGLI USA
La sentenza pronunciata negli Usa, per la precisione in California, sembrava aver scardinato definitivamente la cancellata che Cupertino aveva eretto attorno al suo ecosistema, avendo così modo di controllare tutte le transazioni economiche all’interno del proprio negozio digitale, l’App Store.
Invece comprensibilmente – considerati i guadagni che le verrebbero a mancare se i principi enunciati nella pronuncia americana passassero in giudicato – la Big Tech di Tim Cook ha fatto ricorso chiedendo alla corte di livello superiore di annullare l’ultima ingiunzione emessa dal giudice distrettuale e di assegnare il caso a un nuovo magistrato laddove fosse rinviato nuovamente al tribunale di primo grado.
COSA SOSTIENE APPLE CONTRO LA PRONUNCIA CHE DÀ RAGIONE A EPIC GAMES
Nel documento di 42 pagine Apple richiama una quarantina di sentenze che a suo dire costituirebbero precedenti importanti per la decisione nel caso in esame. Tra queste i suoi legali fanno anche riferimento riferimento a una recente sentenza della Corte Suprema nel caso Trump v. CASA, che limita l’autorità dei giudici federali a emettere ingiunzioni universali, mettendo perciò in discussione la legalità della pronuncia impugnata definita nell’atto presentato da Cupertino “indifendibile”, “eccessiva” e “viziata”.
Ovviamente, Apple non tollera che Epic Games abbia ottenuto ‘commissioni zero’ sugli acquisti esterni all’App Store: questa regola la priverebbe di ogni compenso “per l’utilizzo delle sue innovazioni protette da proprietà intellettuale”. La società sostiene che l’ingiunzione espanda illecitamente la portata della pronuncia originale, imponendo nuove e drastiche restrizioni che violerebbero persino i principi costituzionali della parte convenuta.
La battaglia epica tra Apple ed Epic Games insomma continuerà ancora a lungo, anche se un po’ in tutto il mondo le meccaniche che finora hanno sorretto gli store digitali stanno vistosamente iniziando a scricchiolare sotto le bordate dei giudici o delle autorità antitrust.