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App Di Credito Sociale

App di credito sociale, tutti i rischi per la privacy dei cittadini

Se l'app di credito sociale dalla Cina arrivasse anche da noi? Chi ha espresso preoccupazioni per gli scenari che potrebbero delinearsi nel caso in cui si dovessero diffondere tali app da parte delle pubbliche amministrazioni italiane

Abituati ormai ad avere sempre con noi, sul nostro cellulare, il Green Pass, la cui mancata validazione, anche per un semplice errore tecnico, può escluderci da un locale, farci perdere i primi dieci minuti di un film al cinema o di uno spettacolo teatrale, è difficile comprendere come tutto questo configuri già scenari da romanzi distopici o, per usare un secondo termine di paragone molto più ‘pop’, sceneggiature da Black Mirror. Invece, a pensarci bene, in pochi mesi abbiamo accettato qualcosa che, senza l’incalzare di una pandemia, probabilmente avremmo rifiutato con forza facendo appello alla nostra millenaria cultura giuridica. Anche perché, quando il Green Pass viene scansionato, sul cellulare del controllore, che può essere la maschera di un cinema o un addetto di sala, appaiono alcuni nostri dati. Nessun problema a lasciarli in giro, obietteranno i più e il Garante della Privacy ha avuto il suo bel da fare a contemperare le esigenze di riservatezza del singolo con quelle, preminenti, alla salute dell’intera collettività. In realtà, il sistema del Green Pass, in cui una app può dire alle autorità se, in base alle nostre azioni, possiamo o meno avere accesso a certi luoghi, affonda le proprie radici in una trovata tutta cinese e che, ai tempi, fece parecchio discutere, soprattutto noi occidentali: quella delle App di credito sociale.

COSA SONO LE APP DI CREDITO SOCIALE

Alla base d tutto c’è, appunto, il discusso (almeno qui in Occidente) Social Credit System cinese, teorizzato sul finire dello scorso millennio dal sociologo Lin Junyue e poi messo in pratica dal “Gruppo Dirigente Centrale per l’Approfondimento di Riforme Comprensive”, sfruttato per dare un rating a persone fisiche e giuridiche in quattro aree: “onestà negli affari di governo”, “integrità commerciale”, “integrità sociale” e “credibilità giudiziaria”.

In realtà, sebbene le informazioni siano volutamente poche e fumose, non è ben chiaro come funzioni l’algoritmo che valuta i contribuenti cinesi e le aziende: pare che, oltre ai comportamenti d’acquisto e alla posizione di credito, si spinga perfino a valutare le amicizie e le relazioni online. E, per quello che ne sappiamo, potrebbe tenere pure traccia dei singoli spostamenti, sia grazie a rilevazioni GPS, sia perché per avere accesso a un determinato luogo è necessario esibire l’app di credito sociale.

Di fatto l’app di credito sociale voluta da Pechino è un aggregatore di database: tutte le informazioni che un cinese dà di sé, dal conto in banca all’arrivo di cartelle esattoriali, denunce sporte o subite, vengono fatte confluire in un sistema che le usa per valutare se l’individuo tiene atteggiamenti socialmente accettabili.

UN OCCHIO DI SAURON 2.0

Di fronte a un simile scenario, l’apprensione d un europeo per la propria privacy cresce notevolmente: le somiglianze col nostro Green Pass sono lontane e sfocate, in Cina hanno infatti ideato un registro dei cattivi pagatori che segue pedissequamente ciascuno, punendolo a seconda di condotte pregresse. Come? Anche qui non esistono testimonianze dirette delle punizioni per coloro che hanno un rating basso: si sa solo che verranno esclusi da determinati affari e da determinati lavori pubblici. Su tutto ciò pesano perfino le abitudini di spesa online: se uno compra molti videogiochi e passa troppe ore in partite multiplayer online, non sarà un buon lavoratore o uno studente disciplinato, perciò un datore di lavoro o una scuola possono rifiutarsi di accettarlo.

Senza nemmeno saperlo, il buon Tolkien aveva già teorizzato tutto ciò a inizio ‘900, inserendo nel suo romanzo l’Occhio di Sauron: la figura di un tiranno che controllava i propri sudditi, facendoli vivere nell’apprensione. La Cina naturalmente non ama rivelare le conseguenze nefaste per cittadini e aziende con voti bassi, mentre si concentra sul meccanismo premiale per coloro che si dimostrano bravi “api operaie” e contribuiscono al benessere dell’intera comunità: buoni spesa, prestiti agevolati, noleggi auto senza necessità di deposito, check-in veloci in alberghi di lusso. Pare che in diversi gruppi online ci siano cinesi che competono tra loro vantandosi dei voti ottenuti…

LE APP DI CREDITO SOCIALE ANCHE IN ITALIA?

Una volta esplorato il meccanismo, si comprende perché la possibilità che queste app di credito sociale arrivino pure in Italia solleva più di una perplessità, soprattutto sul fronte giuridico. E la possibilità è più di un esercizio scolastico visto che il Comune di Bologna nei giorni scorsi ha annunciato di voler introdurre una app basata sull’attribuzione di punteggio sociale che si pone l’obiettivo di «assicurare un riconoscimento ai cittadini che differenziano i rifiuti, usino mezzi pubblici, gestiscano correttamente l’energia, non ricevano sanzioni municipali e risultino usare in modo attivo la “Card Cultura». In base alla valutazione, il titolare della app sarà poi qualificato come più o meno rispettoso del “vivere civile”, con la possibilità di ottenere sconti per una serie di attività o servizi forniti in ambito municipale e per attività culturali. Ricorda qualcosa?

L’EX GARANTE PIZZETTI: “DERIVA PERICOLOSA”

A esprimere forti preoccupazioni per gli scenari che potrebbero delinearsi nel caso in cui si dovessero diffondere tali app da parte delle pubbliche amministrazioni italiane, è Francesco Pizzetti, che per otto anni è stato presidente dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali: «Solo nella prospettiva di un valore monetario della privacy si potrebbe accettare che un cittadino possa essere indotto a rinunciarvi in vista di un “premio” – osserva Pizzetti in un suo articolo pubblicato su Federprivacy – In caso contrario, se cioè si mantiene fermo che la privacy è innanzitutto un diritto fondamentale del cittadino, comprimibile solo in base alla legge o per finalità giuridicamente vincolanti per legge, è evidente che ci troviamo di fronte a una pericolosa deriva che può portarci con grande velocità sulla via della società del controllo e del punteggio sociale».

BERNARDI: “LE P.A. MAGGIORMENTE IN AFFANNO SULLA PROTEZIONE DEI DATI”

Inoltre, come afferma Nicola Bernardi, presidente di Federprivacy, una raccolta massiva di dati che riguardano la delicata sfera dei comportamenti personali dei privati cittadini porrebbe anche serie criticità in ordine alla sicurezza delle informazioni: «Viviamo in un’epoca in cui gli attacchi hacker alle banche dati pubbliche e private sono ormai all’ordine del giorno. E sempre più spesso le minacce sulla sicurezza e sulla confidenzialità dei dati arrivano anche dall’interno delle organizzazioni a causa di dipendenti infedeli, o più tristemente privi di competenze perché non adeguatamente formati». Quindi ha aggiunto: «È inutile nascondersi dietro un dito: le pubbliche amministrazioni che propongono tali app sono i soggetti maggiormente in affanno con la protezione dei dati, e lo dimostra il fatto che secondi le statistiche dello scorso anno il 71% delle sanzioni per violazioni del Gdpr sono state irrogate proprio ad enti pubblici».

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