Donald Trump intende obbligare le aziende tecnologiche a fornire i dati dei dipendenti, per creare un registro dei musulmani. Ma la Silicon Valley non ci sta
Che Trump, con le sue idee, non stesse simpatico alla Silicon Valley ci era già chiaro nel corso della campagna elettorale per le elezioni 2016, quando il mondo della tecnologia aveva criticato in una lunga lettere le proposte di Trump su alcuni temi principali come innovazione, immigrazione e protezionismo. Questa poca simpatia, diciamo così, si è manifestata ancor di più nelle ore successive alle elezioni, quando i più grandi guru del tech chiedevano la secessione della California e paragoravano il nuovo Presidente americano ad Hitler.
Partiamo dalle motivazioni. La Silicon Valley protesta contro il fatto che The Donald avrebbe messo al lavoro il proprio staff per compilare un registro degli immigrati provenienti dai Paesi musulmani. Per raggiungere il suo scopo avrebbe chiesto aiuto anche alle aziende tech, che dovrebbero fornire i dati necessari a schedare tutti colori che fossero di religione Islamica.
Nelle scorse settimane, infatti, ben cinquecento (e più) dipendenti di società hi-tech americane, fra cui Google, Twitter e Microsoft, hanno firmato una petizione in cui affermano di non voler esser complici del Tycoon nella compilazione de registro sui musulmani.

La lettera, come è possibile immaginare, è servita a ben poco. I piani di The Donald continuano e, come racconta TechCrunch, la Silicon Valley non si arrende. Nelle scorse ore, infatti, una 50 di dipendenti del settore tecnologico hanno protestato contro l’iniziativa del nuovo Presidente, davanti a Palantir, chiedendo al co-fondatore della società, Peter Thiel , consigliere di Trump, di intercere e intervenire.
“Siamo costretti a collaborare con il governo degli Stati Uniti, abusando su larga scala dei diritti umani”, ha affermato Valerie Aurora, uno dei manifestanti.





