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L’intelligenza artificiale di Apple è stata beccata a scopiazzare dai prof

L'Ai di Apple è stata sorpresa a copiare testi piratati da due prof statunitensi. Ma le multe sono ridicole, le cause dispendiose e sempre più editori preferiscono accordarsi coi colossi per monetizzare qualcosa senza doverli trascinare in giudizio.

Dopo OpenAI, Anthropic e Meta un altro big attivo – nonostante finora non abbia quasi toccato palla – nello sviluppo di algoritmi di Intelligenza artificiale finisce in un’aula di tribunale con l’accusa, poco lusinghiera, di aver dato in pasto alla propria Ai per potenziarne le capacità alcuni libri violando il diritto d’autore: Apple.

L’AI DI APPLE BACCHETTATA DA DUE PROF

Come si può vedere dall’atto di citazione, la causa è stata depositata da Susana Martinez-Conde e Stephen Macknik, entrambi docenti presso la Suny Health Sciences University, ateneo di medicina di Brooklyn, New York City. Entrambi gli attori sostengono che i loro libri, Champions of Illusion e Sleights of Mind, siano stati copiati senza autorizzazione.

Ma in realtà l’accusa è persino più grave perché come evidenziato dalla stampa di settore, sostengono che Apple si sarebbe basata sul database di Books3 contenente migliaia di opere piratate, ovvero divulgate online per intero e sempre senza autorizzazione. Tale set di dati – viene ricostruito – faceva parte di The Pile, un’enorme raccolta open source utilizzata per addestrare modelli linguistici, tra cui il sistema OpenELM di Apple.

COSA CHIEDONO I DOCENTI

I due autori chiedono un risarcimento economico e un’ingiunzione che vieti ad Apple di utilizzare in futuro i loro libri. Da parte sua Apple può stare tranquilla perché, secondo quanto anticipano alcuni esperti di diritto sulle riviste di settore, in base alla legge statunitense, una violazione volontaria del diritto d’autore può comportare sanzioni fino a 150.000 dollari per ogni opera, bruscolini insomma per la Big Tech di Cupertino.

Inoltre, viene sottolineato, la strada per gli attori sarà tutta in salita dovendo non solo dimostrare che i volumi fossero stati effettivamente inclusi nel dataset di Apple ma anche che il gigante della tecnologia sapesse della loro provenienza “piratata”.

FARE CAUSA SERVE A QUALCOSA?

Ma tale modus operandi sembra davvero difficile da arginare: ne sa qualcosa il New York Times che a fine 2023 aveva fatto causa a OpenAI e Microsoft per violazione del copyright. Anche Anthropic, la startup finanziata da Amazon e responsabile dell’Intelligenza artificiale Claude nell’agosto del 2024 era stata accusata da diversi autori di avere usato l’enorme dataset open-source noto come “The Pile” per addestrare i suoi Large Language Model, mentre alcuni querelanti hanno citato Meta per l’utilizzo di un altro aggregatore accusato spessissimo di violazioni di copyright e noto come LibGen per addestrare la propria Ai.

Molti quotidiani e persino qualche editore ha preferito invece monetizzare attraverso accordi per l’uso su licenza dei propri database: un’operazione probabilmente cinica ma comunque realistica considerato il costo di simili azioni civili, l’impossibilità di avere indietro quanto si ritiene sottratto (ormai divenuto tutt’uno con l’algoritmo) e soprattutto il fatto che sia possibile chiamare in causa solo aziende occidentali mentre tutto si complica enormemente quando l’Ai copiona è d’origine cinese.

Come si è visto, anziché continuare a fare causa alle software house proprietari di algoritmi indisciplinati nel campo della musica due colossi come Universal Music e Warner Music secondo il Financial Times sarebbero vicine a concludere trattative per l’uso concordato dei loro brani coperti da diritto d’autore a favore delle software house che sviluppano tali modelli. Una trattativa che suona come una resa a una situazione che s’è ormai fatta ingestibile.

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