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5G, ecco come l’Antitrust stronca gli intralci di regioni e comuni. Tutti i dettagli

L'articolo di Giusy Caretto

Poca concorrenza, pochi progetti, poca innovazione, anche sul fronte 5G, l’internet di nuova generazione che dovrebbe garantire una connessione a velocità record con numerosi vantaggi economici per il Paese.

Secondo una denuncia dell’Antitrust, l’Autorità Garante della Concorrenza del mercato, diverse Province e Comuni ostacolerebbero all’installazione di impianti di telecomunicazione mobile e broadband wireless access. Andiamo per gradi.

INTERNET 5G

Partiamo dall’inizio. Internet 5G garantirà, tra le altre cose, una velocità di trasferimento dei dati fino a 100 volte più veloce, la gestione di un milione di dispositivi in 1 kmq e una maggiore longevità della batteria dei dispositivi. La nuova tecnologia dovrebbe garantire l’erogazione di nuovi servizi che interessano le comunicazioni interpersonali e diversi comparti industriali, quali energia e utilities, manifatturiero, trasporti, sanità, agricoltura, automazione, servizi finanziari.

Tutto questo si tradurrebbe in importanti vantaggi socio economici: i potenziali benefici generati dall’introduzione del 5G valgono 113 miliardi di euro l’anno entro il 2025 nei 3 settori chiave dell’energia, della sanità e dei trasporti. 2,3 milioni, invece, i nuovi posti di lavoro.

LA DENUNCIA DELL’ANTITRUST

L’Italia, però, rischia di perdere il treno. O di salirci in forte ritardo, a causa degli “ostacoli all’installazione di impianti di telecomunicazione mobile e broadband wireless access presenti nelle normativa locale (comunale e provinciale), regionale e nazionale”, denuncia l’Antitrust.

Agcm parla di normative locali o regionali che “fissano limiti e divieti all’installazione di impianti di telecomunicazione o stabiliscono procedure amministrative di autorizzazione all’istallazione degli impianti difformi rispetto a quanto previsto dal quadro normativo statale” che “restringono ingiustificatamente la concorrenza nei mercati delle telecomunicazioni e rischiano di determinare ricadute negative rilevanti sui livelli di servizio erogati ai consumatori e alle imprese, nonché sulla competitività dell’Italia nei confronti di altri Paesi”.

LE CRITICITA’ RISCONTRATE DA AGCM

Secondo l’Autorità, “la maggior parte dei regolamenti comunali, infatti, prescrive criteri di localizzazione degli impianti che non tengono conto delle esigenze tecniche legate all’architettura della rete e agli obiettivi di copertura del servizio offerto dagli operatori, risultando non proporzionati in quanto non permettono, in molti casi, l’installazione degli impianti e, quindi, impediscono la copertura di rete”. “Non è infrequente infatti riscontrare divieti di installazione in ampie zone del territorio, soprattutto nelle aree a destinazione residenziale, che restringono fortemente gli ambiti in cui gli operatori possono di fatto collocare i propri impianti, inibendo così lo sviluppo, se non addirittura, la realizzazione stessa della rete”, denuncia Agcm.

E ancora. “alcuni regolamenti comunali e alcune ARPA fissano in modo ingiustificato limiti alle emissioni elettromagnetiche e di potenza, in difformità rispetto ai limiti stabiliti dalla normativa nazionale, ostacolando così ingiustificatamente l’installazione di impianti di telecomunicazione nel territorio di cui trattasi

“Un’ulteriore criticità riguarda la violazione o la erronea applicazione delle procedure autorizzatorie previste dal Codice delle Comunicazioni”, continua l’Autorità, sostenendo che “molti Comuni continuano a imporre agli operatori la presentazione del permesso a costruire sebbene, come previsto dagli articoli 86 e ss. del Codice delle Comunicazioni Elettroniche e confermato dalla giurisprudenza12, l’installazione di impianti di telecomunicazione non è assoggettabile alle procedure previste per il rilascio di concessione edilizia di cui al Testo Unico sull’edilizia (D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380)”.

C’è di più: “Alcuni regolamenti locali prescrivono una documentazione da allegare alle istanze per l’installazione di impianti per telecomunicazioni ulteriore e più dettagliata rispetto a quella prescritta dal Codice delle Comunicazioni Elettroniche (es. perizia giurata), in contrasto non solo con i principi, di derivazione europea, di semplificazione e non aggravamento del procedimento amministrativo”, denuncia Agcm.

“Infine, le amministrazioni spesso impongono il pagamento dei diritti di segreteria e/o di istruttoria, il cui mancato versamento è motivo sospensivo e/o ostativo per il rilascio delle autorizzazioni necessarie. Tali richieste di pagamento sono state ritenute illegittime dalla giurisprudenza”, si legge nel Bollettino dell’Autorità.

LE REGIONI E I COMUNI COLPEVOLI

Agcom punta il dito contro una delle regioni più innovative d’Italia: la Lombardia. La Legge Regionale 11 maggio 2001, “Norme sulla protezione ambientale dall’esposizione a campi elettromagnetici indotti da impianti fissi per le telecomunicazioni e per la radiotelevisione”, all’articolo 4 ha introdotto un divieto, senza alcuna deroga, di installazione di impianti con potenza superiore a 7W nelle aree ad alta densità abitativa. Divieto che potrebbe risultare incompatibile con le esigenze di corretto sviluppo e pianificazione della rete.

Nel mirino dell’Autorità anche le leggi di Marche, Valle D’Aosta, Abruzzo e Friuli Venezia e Giulia.

Ad agire male sul 5G anche la provincia autonoma di Trento: il decreto “Disposizioni regolamentari concernenti la protezione dall’esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici generati a frequenze comprese tra 100 kHz e 300 GHz (articolo 61 della legge provinciale 11 settembre 1998, n. 10 e articolo 5-ter della legge provinciale 28 aprile 1997, n. 9)”, all’articolo 6, presenta procedure di autorizzazione difformi rispetto a quelle previste dagli articoli 87, 87-bis e 87-ter del Codice delle Comunicazioni Elettroniche e più onerose per gli operatori.

La provincia autonoma di Bolzano, invece, nel “Regolamento sulle infrastrutture delle comunicazioni con impianti ricetrasmittenti”, agli articoli 10 e 11 prevede procedure di autorizzazione difformi rispetto a quelle previste dagli articoli 87, 87-bis e 87-ter del Codice delle Comunicazioni Elettroniche e più onerose per gli operatori.

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