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Usa Estrazione Bitcoin

Ecco cosa si inventano le fabbriche di Bitcoin dopo il crollo delle criptovalute

L'articolo di Francesco Bertolino, giornalista di MF/Milano Finanza, sulle ultime novità nel mondo delle criptovalute

 

 

A marzo la startup Criptomining annunciava l’apertura di una «fabbrica» di bitcoin in pieno centro a Milano, a due passi dal Duomo. All’epoca la criptovaluta per eccellenza veleggiava intorno agli 11 mila dollari, una cifra lontana dai quasi 20 mila di dicembre 2017, ma ancora sufficiente a rendere il mining un’attività molto redditizia. Ad aprile, in una campagna di crowdfunding lanciata per aumentare la capacità estrattiva, Criptomining raccolse 100 mila euro in 10 ore. Nel secondo round di finanziamento, partito a ottobre, Criptomining ha impiegato 45 giorni per rastrellare 70 mila euro.

Nel frattempo, il mondo delle criptovalute è finito sottosopra. Rispetto al picco di un anno fa il bitcoin ha perso quasi l’80% del suo valore e, pur avendo recuperato nell’ultima settimana oltre il 20%, quota ormai poco più di 4 mila dollari. Nel tracollo, la creatura di Satoshi Nakamoto ha trascinato con sé altre criptovalute e minatori improvvisati. «Aziende italiane, piccole o addirittura prive di una struttura societaria formale, hanno investito nel momento d’oro, ma adesso stanno chiudendo», spiega Elio Viola, co-fondatore di Criptomining, «chi si è lanciato sul mining e sulle criptovalute solo per fare soldi facili e veloci si è scottato».

Secondo alcune stime, sotto i 5 mila dollari il mining diventa un’attività anti-economica: il costo di estrazione supera quanto si ricava dalla vendita dei bitcoin ottenuti come ricompensa per aver aggiornato il registro delle transazioni (la blockchain). Il mining è infatti un’attività ad alto dispendio energetico, quindi costosa, e richiede grossi investimenti in tecnologia, soprattutto hardware.

Scesa la febbre dell’oro digitale, oggi molti minatori hanno scoperto che il cripto-filone non ripaga più piccozze e setacci comprati a caro prezzo. Sul mercato rimangono quelle imprese che in epoca di abbondanza sono state formiche e non cicale e ora possono resistere alla carestia sperando in tempi migliori. «Criptomining ha siglato un contratto con una multinazionale dell’energia blindato fino al 2021», prosegue, «grazie a questo accordo siamo sereni anche con un prezzo del bitcoin sotto i 3 mila euro». Certo, Viola non nasconde che i margini di guadagno si sono ridotti sensibilmente, ma è possibile ovviare al problema seguendo la più elementare regola della finanza: diversificare. «In questi mesi abbiamo minato non solo bitcoin, ma anche altre criptovalute che hanno retto meglio», osserva, «ci siamo anche dedicati a tutto quello che gira intorno alla blockchain: ricerca, formazione, consulenza finanziaria, ma anche legale per tutte quelle persone che hanno avuto esperienze negative, specialmente con le ico». Viola, di professione avvocato, ne ha incontrate molte. «In alcune conferenze si promettevano grandi e veloci ritorni anche per piccole somme», dice, «imprenditori, professionisti, dipendenti e perfino operai sono stati convinti a investire i loro risparmi; quando poi hanno aperto i loro portafogli digitali, li hanno trovati vuoti».

In questo senso, il falò delle cripto è un’opportunità per fare pulizia nel mercato, per selezionare le imprese con un modello di business sostenibile. «Stiamo continuando a investire, non abbiamo rallentato», conclude, «a settembre abbiamo dato vita a una seconda mining farm operativa in zona Moscova (in centro a Milano, ndr). Aprirà presto una nuova fabbrica di bitcoin anche Consulcesi Tech, spin-off dell’omonimo gruppo svizzero fondato dai fratelli Tortorella. La loro strategia, però, è diversa da quella di Criptomining e si basa sulla produzione in Paesi nei quali l’attività di mining è più conveniente.

A maggio di quest’anno Consulcesi ha realizzato una prima mining farm a Chisinau, in Moldavia, su mandato del governo locale. Ad alimentarla un impianto fotovoltaico che promette di rendere la produzione di bitcoin al 100% sostenibile (si tenga presente che, secondo stime, l’attività di mining mondiale richiede un consumo energetico annuale pari a quello del Perù). Fra quattro-cinque mesi dovrebbe poi essere operativo anche un secondo impianto a Tirana, in Albania. «In questi Paesi», spiega Massimo Tortorella, presidente del gruppo, «il prezzo dell’energia e gli oneri fiscali sono più bassi: questo ci permette di mantenere il costo di estrazione intorno ai 2mila dollari e di mantenere la redditività anche in tempi difficili come quelli degli ultimi mesi».

Certo, se il bitcoin dovesse scendere sotto quota 2 mila, il mining diventerebbe antieconomico anche in Moldavia, ma Tortorella ha fiducia che il peggio sia ormai alle spalle. «Questo è il momento di investire e noi lo stiamo facendo», dice, «prevediamo un mercato in crescita che si avvantaggerà della crisi della finanza tradizionale, ormai a fine ciclo». Nel panico seguito alla sconfitta di Napoleone a Waterloo (1815), il Barone Rothschild avrebbe detto che «il momento di comprare è quando c’è sangue sulla strada, anche se il sangue è il tuo». Rastrellando azioni a basso prezzo, Rothschild accumulò un’immensa fortuna. Duecento anni più tardi, i minatori di bitcoin sperano di poter ripetere l’impresa del Barone. C’è sempre il rischio, però, di morire prima dissanguati.

 

Articolo pubblicato su MF/Milano Finanza

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