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Esg, che fare ora?

Lo sviluppo dei criteri Esg, nati per misurare l'aderenza ai principi di sostenibilità e divenuti anche parametri di strumenti finanziari, è al centro della ricerca "Esg, 20 anni di cambiamenti", realizzata da Start Magazine e Icinn (Istituto per la Cultura dell'Innovazione), che sarà presentata oggi 26 novembre, dalle 16.30 alle 18.30, presso l'Hotel Nazionale in piazza Montecitorio a Roma.

Lo studio “Esg, 20 anni di cambiamenti”, realizzato da Start Magazine e Icinn (Istituto per la cultura dell’innovazione), ripercorre la storia dei principi Environmental, Social and Governance per tracciarne un bilancio e immaginare l’evoluzione futura. Gli Esg hanno raggiunto le finalità per cui sono stati pensati oppure sono diventati un’arma nelle mani del green washing? Quali effetti avrà la rielezione di Trump alla Casa Bianca? E l’Italia a che punto è sul fronte degli Esg?

Queste sono le domande intorno alle quali ruota lo studio “Esg, 20 anni di cambiamento” analizzando la traiettoria degli Esg in Italia, Europa e Stati Uniti.

ESG, UN VIAGGIO LUNGO 20 ANNI 

L’acronimo Esg – ovvero Environmental (ambientale), Social (sociale) e Governance (di amministrazione) – è stato ufficialmente introdotto nel 2004 nell’ambito del Global Compact Report dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu) Who Cares Wins. Tuttavia, l’interesse nei confronti di questi temi negli Stati Uniti si era già intravisto nel secolo scorso tra il 1994 e il 1995. Proprio oltreoceano, infatti, si era iniziato a discutere seriamente sulla necessità della gestione dell’azienda, del corporate management e dell’importanza di andare oltre gli obiettivi tipicamente finanziari, e quindi di profitto economico.

L’ambiente è stato il motore degli Esg, non a caso il momento d’oro di questi parametri è stato il 2020, la pandemia da Covid-19 ha reso evidente che l’azione dell’uomo, se improvvida, può causare disastri di portata epocale. L’attenzione e la sensibilità dei mass media, dell’ opinione pubblica e dei singoli cittadini nei confronti delle tematiche ambientali è cresciuta dopo la pandemia da Covid-19. Un cambiamento che ha avuto ripercussioni sulle scelte di investimento determinando un boom per gli strumenti di investimento legati alla green economy. Infatti, dal secondo semestre del 2020 e soprattutto nel 2021 e 2022 c’è stato un grande afflusso di capitali a livello internazionale verso i fondi Esg. A determinare questi risultati anche il contesto di bassi tassi di interesse, una strategia di natura monetaria adottata da tutte le banche centrali dei maggiori Paesi proprio per sostenere l’economia mondiale in un momento di grave crisi e incertezza.

Questi due fattori, la mutata sensibilità circa i temi ambientali e la politica di bassi tassi di interesse in una situazione eccezionale, ha portato al successo degli investimenti Esg rispetto ai cosiddetti investimenti finanziari “tradizionali” o “convenzionali”.

NEGLI USA SCOPPIA IL CASO ESG

Se gli anni più duri della pandemia da Covid 19 sono stati gli anni d’oro per gli Esg, il 2022, negli Usa, è stato l’annus horribilis degli Esg. La crescente polarizzazione e la politicizzazione del tema hanno portato a un calo di interesse da parte di investitori istituzionali e asset manager. Un

calo che ha fatto moltiplicare le voci riguardo una presunta crisi degli Esg. I grandi asset manager sembrano volere un cambio di strategia, sull’onda delle critiche di “wokismo” che piovono dal fronte politico dei repubblicani. In particolare, negli ultimi mesi il dibattito negli Usa si è concentrato sul tema delle performances finanziarie dei fondi Environmental, Social and Governance: i rendimenti degli investimenti ESG sono diminuiti negli ultimi due anni, provocando un calo di interesse da parte degli investitori, istituzionali e non.

Il 2024 si avvia a chiudersi registrando un calo del sostegno verso le questioni ambientali e sociali da parte delle aziende americane e un rallentamento delle campagne di alto profilo condotte da investitori progressisti presso grandi gruppi come ExxonMobil e Starbucks.

I dati contenuti nei report di giugno delle società Russell 3000 rilevano che quest’anno solamente due proposte di azionariato legate al clima hanno ricevuto il sostegno della maggioranza delle aziende Russel 3000. Al tempo stesso, è diminuito l’impegno di colossi come Adobe, Berkshire Hathaway ed Eli Lilly. Il calo evidenzia un’inversione di tendenza per diversi grandi gestori patrimoniali. “Parlare solamente di crisi è una semplificazione, il problema è molto più complesso – spiega il prof. Luca Brusati, fellow della Divisione Government, Health and Not for Profit della SDA Bocconi. C’è un discorso mediatico e politico che contribuisce a trasformare gli Esg in un tema divisivo e ideologico. La questione fondamentale è che i modelli produttivi stanno cambiando, così come l’attenzione generale ai temi legati ad ambiente e sociale. Se ascoltiamo i ceo sembra che ci sia stato un rallentamento. Il rallentamento è più evidente negli Stati Uniti che in Europa”.

L’UE E GLI ESG: UNA STORIA IN COSTRUZIONE

Nel nostro continente, infatti, il dibattito pubblico è ancora incentrato su temi legati a Green Deal. La normativa Esg in Europa è una struttura stratificata e profondamente integrata. Il quadro regolamentare costruito dalle istituzioni europee ha avuto l’obiettivo di puntare alla trasparenza in merito agli impatti sulle attività economiche e sul settore finanziario. Se tanti sono stati i mattoni prodotti dalle istituzioni europee in questi 25 anni, l’architrave della normativa europea, in materia di Esg, è il Regolamento EU 2019/2088 del parlamento e del Consiglio europeo del 27 novembre 2019 su “Sustainability-related disclosures in the financial services sector”.

Con il Regolamento 2088 l’Ue ha stabilito regole valide e direttamente applicabili nei 27 Paesi dell’Ue, volte a sistematizzare le attività di report sui temi della sostenibilità nei servizi finanziari. La SFDR, infatti, definisce le modalità con cui i partecipanti ai mercati finanziari devono divulgare le informazioni sulla sostenibilità. In tal modo si supportano gli investitori che vogliono investire in aziende e progetti che sostengono obiettivi di sostenibilità a fare scelte informate. Inoltre, la SFDR permette di valutare adeguatamente come i rischi di sostenibilità siano integrati nel processo decisionale di investimento contribuendo, in questo modo, a uno dei grandi obiettivi politici dell’Ue: attrarre finanziamenti privati per aiutare l’Europa a passare a un’economia a zero emissioni nette.

I principi Environmental, Social and Governance, però, hanno acquisito aspetti divisivi anche in Europa. Il caos geopolitico e i rischi di greenwashing e pinkwashing hanno contribuito alla crisi del settore. Basti pensare che nel 2024, secondo un’analisi del Financial Times, circa un terzo dei fondi in Europa e nel Regno Unito dedicati a questioni ambientali, sociali e di governance si ritrovano in pancia 7,7 miliardi di euro dal settore della difesa. Una cifra più che doppia rispetto ai 3,2 miliardi di euro del primo trimestre del 2022. Chiaramente, il valore dell’esposizione dei fondi di investimento sostenibili europei ai titoli della difesa è cresciuto dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.

L’Italia, invece, subisce ancora molto il fascino degli Esg. Infatti, i dati mostrano che nel nostro Paese non è diminuito l’interesse per gli investimenti in Esg. Anzi, dal 2022 ad oggi è quasi aumentato il numero dei decisori finanziari italiani che detiene investimenti sostenibili.

Un quadro complicato e vario, che fa sorgere spontanea la domanda: quale futuro attende gli Esg.

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