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Cop28

Vi spiego come gli Stati si sono divisi alla conferenza Cop24 su energia e clima

Che cosa è successo davvero alla conferenza Cop24. L'approfondimento di Luca Bergamaschi

I Paesi sono arrivati alla Cop24 di Katowice in Polonia dopo un anno di forti tensioni geopolitiche, dal commercio alla gestione delle migrazioni, che hanno messo in questione la tenuta dell’ordine multilaterale globale. Nonostante ciò le delegazioni hanno trovato nel corso di due lunghe settimane un’intesa che rende operativo l’Accordo di Parigi sul clima.

UN SISTEMA DI REGOLE CONDIVISO E TRASPARENTE

Alla Cop24, per la prima volta i Paesi dell’Onu hanno concordato regole che garantiscono la verifica e la trasparenza sui progressi dell’azione per il clima. La conclusione positiva dei negoziati offre così un segnale di speranza e dimostra che anche complessi processi multilaterali possono portare a risultati concreti e condivisi. Il clima diventa sempre di più il collante della cooperazione internazionale nonostante la divergente, ma mai come oggi isolata, scelta di Trump di abbandonare l’Accordo di Parigi.

Concordare un sistema condiviso di trasparenza, in vigore dal 2024, su come e quando si dichiarano, misurano e riportano gli sforzi di riduzione delle emissioni e gli aiuti finanziari è un passo fondamentale per costruire la fiducia necessaria affinché tutti Paesi si muovano nella stessa direzione. Per molto tempo infatti alcuni Stati, come la Russia, hanno rifiutato di ratificare l’Accordo di Parigi proprio perché non vigeva ancora un sistema di regole chiaro e condiviso. Ora questa scusa non può più essere usata.

IL RUOLO DELL’EUROPA E DEGLI ALTRI

Nella Cop24, l’Europa ha giocato un ruolo chiave nello sbloccare i negoziati attraverso una cooperazione stretta con i Paesi più vulnerabili e con altri Paesi sviluppati, come Canada, Norvegia e Nuova Zelanda. La Cina e l’India hanno tenuto un profilo più basso ma il passo importante da parte loro è il riconoscimento dell’universalità delle regole. Il Brasile si è dimostrato un cliente difficile alla fine dei negoziati, causando il rinvio all’anno prossimo di una decisione delicata su come operano i mercati delle emissioni.

Sarà importante evitare il conteggio doppio nel momento dello scambio delle quote di emissioni. Come di consueto i Paesi produttori di combustibili fossili, come Arabia Saudita e Russia, hanno cercato di rallentare il più possibile la ricerca di un compromesso e giocato al ribasso. Se da un lato gli Stati Uniti hanno cercato di essere costruttivi nella ricerca di regole uguali per tutti, dall’altro non si sono di fatto distinti dall’Arabia Saudita dimostrando di tenere di più a proteggere il mercato e gli interessi dei combustibili fossili che alla sicurezza e al benessere dei loro cittadini.

NECESSITÀ DI ACCELERARE LA DECARBONIZZAZIONE

Ciò detto il manuale delle regole della Cop24 non sostituisce, però, la necessità di accelerare nella pratica la decarbonizzazione dell’economia e di fissare obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni più stringenti di quelli attuali. In questo senso, manca nel testo un messaggio forte e chiaro di aumento degli impegni nazionali entro il 2020, data in cui i Paesi dovranno comunicare i nuovi impegni, nonostante vengano riconosciuti gli impatti crescenti degli eventi estremi e il contributo del rapporto Ipcc della comunità scientifica sui rischi del riscaldamento globale di 1,5 gradi.

Le imprese invece mandano segnali incoraggianti di cambiamento, come l’annuncio dell’impegno della Maersk, la più grande compagnia del mondo nel trasporto di container, di raggiungere le zero emissioni nette entro il 2050 e quello dellaVolkswagen, che darà l’addio allo sviluppo dei motori a benzina e diesel a partire dal 2026.

LE PROSSIME TAPPE, CON L’ITALIA CANDIDATA A COP26

L’appuntamento ora è per settembre 2019, a un vertice speciale sul clima indetto dal segretario generale dell’Onu Antonio Guterres che ha partecipato a più riprese in prima persona alla Cop24. L’obiettivo è quello che più Paesi possibile vi annuncino nuovi impegni nazionali di riduzione delle emissioni, che siano più ambiziosi rispetto a quelli presentanti nel 2015 alla Cop21 di Parigi. I nuovi impegni dovranno poi essere formalizzati alla Cop26 nel 2020, per la quale l’Italia ha rilanciato la propria candidatura dopo che l’allora ministro Gianluca Galletti annunciò la volontà di candidarsi già nel 2016.

I Paesi tornano a casa sapendo che i progressi di Katowice non sono sufficienti per stabilizzare il cambiamento climatico a un livello di sicurezza adeguato. C’è ancora molta strada da fare soprattutto da parte della politica che stenta a dare all’azione per il clima quella priorità necessaria per preparare la società ad affrontare la sfida in modo adeguato prima che sia troppo tardi.

Per l’Italia significa innanzitutto mettere in campo misure concrete per l’uscita dal carbone entro il 2025, data confermata dal ministro Sergio Costa nel suo intervento a Katowice, e iniziare a pianificare l’uscita dal gas e dal petrolio per raggiungere zero emissioni nette entro le prossime tre decadi. La rivoluzione industriale del XXI Secolo non può più attendere, a patto che sia organizzata in modo giusto e di concerto con cittadini e parti sociali e industriali. A questa rivoluzione deve essere affiancato un grande piano di resilienza per mettere in sicurezza il territorio e le infrastrutture dagli impatti sempre più violenti e frequenti di eventi estremi.

Articolo pubblicato su AffarInternazionali

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