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Ecologismo Greta

Le recite di Greta

Il bla bla bla di Greta è diventato fastidioso, la solita recita in cui si ignora i costi sociali del Green Deal. L'articolo di Tino Oldani

Roberto Cingolani, 59 anni, ministro per la transizione ecologica, è uno scienziato autorevole, che conosce le questioni ambientali come pochi altri, e ha più volte spiegato agli italiani che il Green Deal, il piano europeo per ridurre le emissioni di un gas nocivo come l’anidride carbonica (CO2), non sarà una passeggiata, bensì «un bagno di sangue». Le prime avvisaglie, che confermano in pieno tale previsione, sono già arrivate: bollette di gas e luce alle stelle, con rincari trimestrali del 40% mitigati solo in parte dal governo; interi settori dell’economia in difficoltà, o addirittura in ginocchio, costrette a ristrutturarsi a seguito delle restrizioni varate da Bruxelles con il pacchetto «Fit for 55»; costi sociali durissimi per la perdita di migliaia di posti di lavoro. Sacrifici enormi, che la Commissione Ue ha imposto ai 27 paesi membri, giudicandoli inevitabili per abbattere le emissioni nocive del 55% entro il 2030 e arrivare a zero nel 2050.

Di fronte a questo scenario, sono rimasto sconcertato di fronte a quanto è accaduto a Milano nel convegno Youth4Climate, dove Greta Thunberg ha ripetuto lo stesso copione che recita da anni, accusando i politici di fare solo del bla bla bla, invece di contrastare il cambiamento climatico con provvedimenti drastici. Dunque, un’accusa rivolta anche contro Cingolani, che è intervento per chiedere suggerimenti e proposte concrete alla Tunbergh e ai giovani che la considerano un’icona, ma per tutta risposta si è beccato l’accusa di bla bla bla.

Non so cosa ne abbia dedotto il ministro, ma io ho provato fastidio. Come può uno scienziato, che ha alle spalle anni di studi e di ricerche in laboratorio, farsi trattare come un pedalino da una ragazza la cui ignoranza sul clima è pari solo al suo assenteismo scolastico? Mercoledì i giornaloni grondavano la solita retorica su Greta «icona mondiale dell’ambientalismo», ma nessuno ricorda che un professore francese, Marc Reisegner, esperto di questioni climatiche, nel 2019, dopo avere visto in tv le immagini di Greta seduta fuori dal parlamento svedese con il cartello «Sciopero a scuola per il clima»”, si recò appositamente a Stoccolma per parlarle. «Ho sentito che hai suggerito ai giovani di studiare il clima. Vorrei parlare un po’ di questo, immagino che tu l’abbia studiato», le disse. La risposta? Scena muta, e immediato intervento della guardia del corpo e dell’addetto stampa per portarla via: «Abbiamo altre cose da fare». Per il professore, la prova che Greta di clima non sapeva nulla: «Mi è sembrato di trovarmi di fronte a una ragazza fredda, senza passione, una bambola manipolata da persone inquietanti».

Un giudizio condiviso dal settimanale tedesco Der Spiegel, che in un’inchiesta ha definito Greta «una marionetta in mano a lucrosi burattinai», dei quali ha fatto nomi e cognomi, spiegando che alle spalle di Greta agisce da anni una lobby mondiale, che vede nella rivoluzione verde una nuova fonte di profitti speculativi. I capi fondatori di questa lobby, secondo varie ricostruzioni (ItaliaOggi del 18 dicembre 2019), sono due: Al Gore, ex vicepresidente Usa e ambientalista da sempre, per i contenuti culturali; e Mark Carney, ex governatore della Banca d’Inghilterra e del Financial stability board, un peso massimo nella finanza mondiale, per le strategie finanziarie. E’ grazie a loro se Greta è diventata un’icona mondiale, invitata a dire la sua davanti ai consessi politici più elevati, come l’assemblea dell’Onu, il Parlamento europeo, perfino il Senato italiano. E in ogni occasione, ha recitato sempre lo stesso copione: sul clima, i politici fanno soltanto bla bla bla.

Nel mio piccolo, penso che sia ora di dire basta alle sceneggiate di questa “marionetta”, e spostare l’attenzione sulle conseguenze già in atto della transizione verde, sui settori vincenti, che ne stanno traendo vantaggi, e su quelli perdenti, che difficilmente riusciranno a ristrutturarsi e a sopravvivere. La decarbonizzazione in atto, secondo analisti autorevoli, provocherà nei prossimi decenni una rivoluzione economica profonda, paragonabile a passaggi storici, come quello dall’agricoltura medievale alla rivoluzione industriale e a quello dal carbone al petrolio. Il futuro è nel silicio e nelle terre rare dei microchip: intere filiere produttive saranno costrette a chiudere, sostituite da altre più competitive e sostenibili sul piano ambientale; le rottamazioni, al pari dei licenziamenti, saranno massicce e per nulla indolori; nasceranno nuovi mercati e nuovi lavori, ovviamente solo se giudicati sostenibili, ma in numero insufficiente per assorbire la massa dei disoccupati. Tanto che si comincia a discutere di reddito universale minimo, come ammortizzatore del Grand Reset.

I governi più previdenti, i grandi gruppi e le maggiori associazioni industriali hanno commissionato studi ad hoc per calibrare le loro mosse. Tra i settori considerati perdenti vi sono l’auto, specie la componentistica, i trasporti su strada (ma non i treni), la meccanica di vecchio tipo, i colossi oil&gas che non riusciranno a trovare un nuovo mix energetico, sostenibile come l’idrogeno e il nucleare di quarta generazione. Guai in vista anche per il trasporto aereo, low cost compreso, a causa del forte rincaro dei combustibili fossili.

Quanto ai costi necessari per restare sul mercato, uno studio di Boston Consulting sui settori meno green di Confindustria (siderurgia, chimica, fonderie, carta, vetro, cemento, ceramica), ha stimato che il loro prezzo da pagare per restare sostenibili sarà pari a 15 miliardi di euro in dieci anni, a fronte di un fatturato di tali aziende pari a 88 miliardi e 700 mila addetti. Un costo enorme, che impone al governo di Mario Draghi di predisporre al più presto un’agenda della transizione industriale che vada oltre il Pnrr, renda meno devastante il Green Deal Ue. E lasci perdere i bla bla bla, insopportabili e vuoti, di una marionetta presuntuosa, ma ignorante.

 

Articolo pubblicato su ItaliaOggi

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