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Ex Ilva

Verità e bugie su Ilva, acciaio e Arcelor Mittal. Il commento di Seminerio

Il commento di Mario Seminerio, curatore del blog Phastidio.net, sul caso Ilva-Arcelor Mittal e su alcune esilaranti dichiarazioni...

 

Vi garantisco che avrei serenamente evitato di trattare la dolorosa vicenda di Ilva, l’ennesimo grande malato, rigorosamente cronico, dell’economia italiana. Avrei fatto a meno perché, come sempre in questi casi, si giunge a rapide polarizzazioni e al solito “effetto Rashomon”, dove ci sono molteplici verità a spiegare la stessa situazione, e tutte in apparenza verosimili. Quello che posso fare è valutare, in modo del tutto superficiale, un quadro più generale, che ci porta fuori dalla Penisola.

Ad esempio, noto alcuni detective che, con fare compiaciuto, hanno scoperto il “vero” obiettivo di Arcelor Mittal: ridimensionare la capacità produttiva. Certo, in un contesto internazionale letteralmente congelato da una guerra commerciale tra le due potenze economiche del pianeta, questa ennesima entrata in sofferenza dell’acciaio, e segnatamente dell’acciaio europeo, era del tutto imprevedibile. Giusto?

Lasciamo da parte, per un attimo, le pur elevate criticità legali, connesse al cosiddetto scudo penale. Dire che questo scudo è un caso che non ha eguali nel mondo occidentale e civilizzato ha senso, ma solo perché l’Italia è un caso senza precedenti di macropatologie economiche, giuridiche, civili e sociali in via di progressivo aggravamento, come noterebbe anche un lemure, e che trovano puntuale rappresentazione farsesca nei violenti spasmi che colpiscono pressoché immediatamente qualsiasi governo cerchi di vendere agli italiani la fontana di Trevi e la pentola d’oro in fondo all’arcobaleno.

Anche per questo, leggere di ministri della Repubblica che si gonfiano il petto per aver trovato la pistola fumante: “Arcelor Mittal ha sbagliato il piano industriale” è meraviglioso. Lo ha sbagliato, tra le altre cose, per non aver previsto anni addietro il terremoto protezionista. Certo, immaginiamo. Detto soprattutto da chi, alle ore 14, non riesce a prevedere che accadrà al paese alle ore 15.

Altra perla di cospirazionismo ad uso dei migliori e peggiori bar di Roma: Arcelor Mittal ha posto in essere un diabolico piano, mediante il quale mettere le mani sul valoroso acciaio italiano e poi chiuderlo. Pensate: si prende uno staff manageriale, lo si fa mandare in galera, si spende un pacco di soldi e poi si chiude. Chiamiamoli costi di risoluzione. Della corteccia cerebrale.

Se le cose stessero e fossero state in questi termini, ad Arcelor Mittal sarebbe bastato non fare nulla, anni addietro. Visto anche che il suo cosiddetto concorrente per l’assegnazione di Ilva era un cartellino costruito in fretta e furia, in stile Alitalia, anch’esso munito di scudo penale, pronto ad inabissarsi alla prima occasione utile. Forse vi è sfuggito, ma non c’era esattamente la fila per rilevare Ilva. Sbaglio?

Ad Arcelor Mittal bastava attendere, con pazienza, il collasso finale, e la cancellazione di una robusta porzione di sovracapacità settoriale europea. Leggere, oggi, che “qualcosa” e “qualcuno” avrebbero cospirato per permettere ai franco-anglo-indiani di sabotare la nostra vibrante economia è da manuale di psichiatria. Psichiatria italiana, per la precisione: una branca a sé, che si occupa delle turbe mentali più serie.

Vorrei umilmente segnalarvi, sperando di non cadere in fallacia analogica, che, lontano dall’ombelico italiano, a maggio, un altro acciaiere europeo è finito a gambe all’aria. Trattasi di British Steel, posta in amministrazione straordinaria dal governo May, che ha affidato a EY il compito di trovare un compratore. Fatevi un favore: leggete attentamente la scheda della BBC.

Da allora, non è accaduto praticamente nulla, se non l’approccio di una società turca ed ora (pare) degli immancabili cinesi. Parliamo di 5.000 lavoratori diretti e 20.000 di indotto, con immancabile rischio esiziale per un territorio depresso. L’azienda, anni addietro, era controllata dagli indiani di Tata, che avevano rilevato quella che all’epoca si chiamava Corus. Attenzione, ripeto: Tata, non la pizzeria “da Ciccio”.

A conferma di quanto è maledettamente difficile il settore dell’acciaio, anche Tata ha gettato la spugna e l’azienda è stata acquistata da un private equity di nome Greybull. Tra le motivazioni del dissesto, vengono citate le incertezze relative alla Brexit e la guerra commerciale sino-americana. Resta da vedere per quanto tempo durerà l’amministrazione straordinaria: la società è comunque inserita in una procedura di liquidazione, se non verrà trovato un acquirente.

Diciamo quindi che, in giro per il mondo, shit happens. In Italia, per contro, it’s raining shit, everyday. In omaggio, dobbiamo sorbirci le lezioni di quelli che “io lo avevo detto e scritto, due anni fa”, o di quelli che “si vedeva da subito, che era una truffa ai danni del nostro meraviglioso paese”, ed anche “ora lanciamo l’ultimatum, all’Italia non la si fa”, oppure “è chiaro che hanno sbagliato piano industriale, non hanno saputo leggere i fondi del caffè. Ma ora basta: un altro giro, offro io e pagate voi”.

Il proiettile d’argento è anche quello che serve a spiegare in modo rapido e preciso perché una situazione è andata in un certo modo. Si tratta di una variazione sul tema cospirazionista, ed in questo caso il proiettile è d’acciaio anziché d’argento. Ogni disvelamento di un delitto imperfetto necessita poi del rinvenimento di una pistola fumante. Da noi, sono i pistola ad abbondare. Loro fumano per la contrarietà di essere presi a ceffoni dalla realtà. Noi contribuenti lo faremo per essere quotidianamente depredati.

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