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Parlamento Europeo Protezione Dati

Chi appoggia e chi no il nuovo piano Ue sulle rinnovabili

Il Parlamento europeo ha alzato al 42,5% la quota minima di energia da fonti rinnovabili al 2030. Ecco cosa comporterà la decisione per i cittadini dell'Unione. L'approfondimento di Sergio Giraldo

Il Parlamento europeo inchioda i cittadini dei 27 stati membri a pannelli solari e pale eoliche e fissa al 42,5% dei consumi la quota minima obiettivo di energia da fonti rinnovabili al 2030, con un obiettivo vero del 45%. Nella versione precedente tale valore era stabilito al 32%. La direttiva è passata con 470 voti a favore, 120 contrari e 40 astensioni. Sinistra, verdi, Renew e Partito Popolare Europeo (PPE, di cui fa parte Forza Italia) hanno votato a favore in massa. Contrari Identità e democrazia (ID), di cui fa pare la Lega, e Conservatori e riformisti (ECR). I quattro parlamentari italiani di Fratelli d’Italia, che fanno parte del gruppo ECR, si sono dissociati dal gruppo e non hanno votato contro, bensì si sono astenuti. Un dato politico interessante anche per il livello nazionale.

COSA PREVEDE LA DIRETTIVA SULLE RINNOVABILI

Oltre ad aver alzato l’obiettivo di energia da fonte rinnovabile, la direttiva prevede lo snellimento delle procedure per la concessione di permessi per nuovi impianti di energia rinnovabile, come pannelli solari e centrali eoliche, o per l’adeguamento di quelli esistenti. Le autorità nazionali non potranno impiegare più di 12 mesi per autorizzare la costruzione di nuovi impianti di energia rinnovabile situati nelle cosiddette “zone di riferimento per le energie rinnovabili”. Al di fuori di queste zone, la procedura non potrà superare i 24 mesi. Di fatto si introduce il silenzio assenso.

LE POSIZIONI DI PPE E ID

“Abbiamo innalzato i nostri obiettivi in materia di energie rinnovabili. In base al principio del “silenzio assenso”, gli investimenti saranno considerati approvati in assenza di riscontri amministrativi contrari. Ora abbiamo urgentemente bisogno di una riforma del mercato dell’elettricità dell’UE”, ha dichiarato il relatore, Markus Pieper (PPE, Germania). Per entrare in vigore, il testo dovrà ora essere formalmente adottato dal Consiglio.

Il voto in seduta plenaria a Strasburgo ha visto confermato l’accordo che era già stato preso lo scorso marzo tra Parlamento e Consiglio, in quella che sembrava essere una stagione politica destinata all’archivio. Invece, ecco il colpo di coda della maggioranza Ursula, uno dei tanti a cui assisteremo da qui a gennaio, nel periodo che precede la campagna elettorale e le elezioni di giugno. Il Partito Popolare Europeo (PPE), che poco prima dell’estate si era spostato su posizioni critiche rispetto alle istanze più oltranziste dei verdi e della sinistra, ha invece votato compattamente a favore della nuova versione della direttiva RED III, cioè l’aggiornamento delle precedenti direttive che negli anni si sono sedimentate a regolare il settore delle energie rinnovabili.

“Tempistiche e obiettivi sono di difficile realizzazione. Gli Stati sono obbligati ad aumentare di oltre il 10% il consumo di rinnovabili in pochi anni, con un altro tassello del Green Deal approvato dalla Plenaria senza farsi troppe domande: difficile pensare ad un passaggio non traumatico all’auto elettrica con l’obbligo di generare il 42,5% dell’energia di un Paese da rinnovabili” ha commentato Paolo Borchia, eurodeputato della Lega e coordinatore di Identità e Democrazia (ID) in commissione per l’Industria, la Ricerca e l’Energia (ITRE). Secondo il relatore ombra di ID, l’unica cosa buona del provvedimento starebbe nello snellimento delle procedure per l’autorizzazione degli impianti.

Lo stesso punto su cui si concentrano le dichiarazioni di Patrizia Toia, europarlamentare del Partito democratico e vicepresidente della Commissione Industria al Parlamento europeo: “L’accelerazione delle procedure di autorizzazione per i progetti di energie rinnovabili è la grande novità, indispensabile per favorire la decarbonizzazione. Ma altrettanto importanti sono i segnali di una nuova politica industriale europea”. Toia però non fa cenno agli obiettivi numerici, che per alcuni Paesi dell’Unione rischiano di essere proibitivi e che per tutti saranno assai costosi.

Per l’Italia, nel 2022 la quota di produzione rinnovabile sul totale del consumo è stata del 34% (100 terawattora su 295 di consumo). A parità di consumi, la produzione rinnovabile italiana dovrà dunque crescere del 25% in sei anni. È chiaro però che un obiettivo siffatto si può raggiungere anche diminuendo i consumi, non solo aumentando la produzione verde.

Aver subodorato la riluttanza degli elettori a seguire docilmente le costose e inutili (se non dannose) politiche europee su ambiente ed energia, a quanto sembra, non basta al PPE, che sembra intenzionato a portare avanti l’agenda green a costo di schiantarsi alle urne.

Del resto, è stato lo stesso capogruppo del PPE al parlamento europeo, Manfred Weber, qualche giorno fa in una intervista al Corriere della Sera, ad aver rivendicato il fatto che il suo partito ha sostenuto trentadue dei trentaquattro provvedimenti che fanno parte del Green Deal europeo. Difficile quindi smarcarsi da una responsabilità così evidente. Non basteranno certo i voti contrari in zona Cesarini su due provvedimenti (legge sul ripristino della natura e stop ai motori endotermici) a far dimenticare i regolamenti e le direttive che penalizzeranno la crescita economica, abbasseranno il valore delle case e svuoteranno le tasche degli elettori.

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