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Tutti i piani allo studio di Trump per non far affondare l’industria Usa del petrolio

Ipotesi, piani e scenari sulle misure dell'amministrazione Trump per l'industria del petrolio

Come al suo solito, Donald Trump ha reso noto su Twitter la sua intenzione di non starsene con le mani in mano mentre l’industria petrolifera a stelle e strisce affonda.

https://twitter.com/realDonaldTrump/status/1252591306028785667

 

Ma è mistero su quali e quanti “fondi” The Donald abbia chiesto di rinvenire ai suoi due ministri dell’Energia e del Tesoro per riportare a galla produttori stremati dalla contrazione da consumi causata dal Covid-19 e dal conseguente tonfo storico dei titoli in Borsa.

Sofferenza che per i Futures WTI è proseguita anche dopo il lunedì nero in cui i titoli in scadenza questo mese sono finiti sottozero per la prima volta nella storia.

Ieri la furia dei mercati si è infatti accanita sui titoli di maggio (che però, dopo il crollo del giorno precedente, hanno fatto un balzo di ben il 300% tornando in territorio positivo a 10,01 dollari al barile), e su quelli di giugno, che dopo aver passato la giornata sull’ottovolante (con perdite arrivate sino al 60% e ben tre sospensioni delle trattative causa eccesso di volatilità) si sono stabilizzati su una quotazione di 11,75 dollari.

Se questi dati restituiscono la dimensione della crisi, non lo sono da meno quelli relativi ad altri ambiti dell’industria petrolifera a stelle e strisce, dove ad esempio il WTI Midland del Texas – che funge come una sorta di benchmark per lo shale oil – era precipitato sotto i 13 dollari.

Si tratta di prezzi – osserva la CNN – che decretano di fatto la condanna a morte per molti produttori piccoli e medi e soprattutto per l’industria dello shale. Secondo i calcoli di Rystad Energy, una quotazione che si stabilizzasse sui 20 dollari al barile determinerebbe il fallimento di qui ad un anno di 533 compagnie Usa, numero che raddoppierebbe in caso di quotazione a soli 10 dollari:

Fig. 1: bancarotte previste negli Usa in caso di quotazione del petrolio a 10, 20 o 30 dollari (fonte: CNN su dati Rystad Energy)

La clessidra dunque corre e si contano già le prime vittime: si tratta di Whiting Petroleum, che ha dichiarato bancarotta il 1 aprile. E a seguirla potrebbero essere anche Chesapeake Energy, Denbury Resources e Callon Petroleum, dove i contabili sono in fibrillazione.

È in questo contesto che accidentato è dir poco che la Casa Bianca intende intervenire ora con piglio deciso.

Per inciso, nelle scrivanie del Dipartimento dell’Energia giace da qualche tempo un piano che, per compensare le compagnie petrolifere, prevede di procedere con acquisti governativi e colmare fino all’orlo le riserve strategiche. Le leggi federali, a tal proposito, autorizzano il Dipartimento a stoccare in situazioni di emergenza fino ad 1 miliardo di barili di petrolio.

Ma non è questa la strada che Trump e soci intendono seguire, che è invece quella degli aiuti finanziari diretti.

Una richiesta in tal senso dalle maggiori industrie Usa era già arrivata alla Casa Bianca qualche tempo fa, ma fu rigettata perché allora nelle stanze del governo si confidava sull’accordo che Arabia Saudita e Russia avrebbero raggiunto – come poi effettivamente accadde – in sede OPEC per effettuare un mega taglio della produzione.

Ora che pure quella strada sembra un vicolo cieco, non sembra esservi altra via che consentire anche ai produttori di accedere – a dispetto delle disposizioni iniziali del Congresso che escludevano tale possibilità – di accedere ai prestiti d’emergenza varati dal parlamento tre settimane fa nell’ambito del piano di stimolo anti-Covid da 2 trilioni di dollari.

A formulare in modo esplicito la richiesta è stato Mike Sommers nella sua qualità di CEO della più grande lobby americana del settore, la American Petroleum Institute. Parlando ieri ai microfoni della CNN, Sommers ha menzionato esplicitamente quel pacchetto auspicando che anche le industrie dell’Oil & Gas “abbiano accesso alla liquidità di cui hanno bisogno per sopravvivere alla crisi”.

E questo in verità è proprio ciò su cui il Segretario all’Energia Dan Brouillette stava lavorando – secondo quanto lui stesso ebbe a dichiarare a Reuters la settimana scorsa – in sinergia con il collega del Tesoro Steven Mnuchin. Il loro obiettivo, nella fattispecie, era di raddoppiare l’entità dei prestiti erogati dal programma CARES in favore delle industrie energetiche di piccola e media taglia, facendoli arrivare a 200-250 milioni di dollari pro capite.

È questa la proposta insita nelle parole sibilline del tweet di Trump? Pur senza poterci sbilanciare, ci sembrano indicative le parole con cui Brouillette, dagli schermi  della CNBC, ha lasciato intendere che lui, Mnuchin e il direttore del Consiglio Economico della Casa Bianca Larry Kudlow si sarebbero presto incontrati con due obiettivi: studiare come far sì che le industrie petrolifere siano “incluse” nel pacchetto CARES, e trovare il modo per evitare che le banche incaricate dal governo di emettere i prestiti federali non facciano “discriminazioni”.

Che la direzione di marcia del governo sia questa lo dimostra anche la serie di telefonate fatte da Brouillette ieri a diversi parlamentari repubblicani per sondarli sul loro progetto.

Uno di questi, il senatore Kevin Cramer del Nord Dakota, ha sollevato un punto particolarmente spinoso, ossia la disposizione – da lui definita “unfair” –  del pacchetto CARES che nega categoricamente qualsiasi forma di sostegno finanziario alle aziende che hanno rating sfavorevoli.

“Per questo – ha dichiarato Cramer .- stiamo ancora lavorando col Tesoro e la Federal Reserve per provare a mettere in campo alcuni strumenti che consentano alle banche e alle aziende di ristrutturare parte del debito per aiutarle a superare questa crisi”.

L’iniziativa di Cramer è però destinata a scontrarsi con un formidabile ostacolo segnalato da Politico: la riluttanza (iniziata peraltro  prima della crisi del Covid-19) dei prestatori a concedere denaro a società fortemente indebitate nella convinzione che qui fondi sarebbero impiegati per ripagare i debiti pregressi.

Bisognerebbe scontare poi, aggiunge ancora Politico, il forte scetticismo di chi, come il direttore del programma energia di Public Citizen, Tyson Slocum, finirebbe per considerare quegli aiuti come un bailout mascherato di cui si gioverebbero solo proprietari e azionisti, ma non aziende che tutti gli indicatori giudicano già prive dei” fondamentali” che consentono loro di reggersi sulle proprie gambe.

Il sentiero che Brouillette e Mnuchin intendono battere per tirare fuori dai guai il settore petrolifero è dunque disseminato di buche ma non è l’unico che è stato prospettato in questi giorni.

Nel taccuino dei cronisti finisce per appuntarsi anche la proposta – qualsiasi cosa essa implichi – che il deputato Greg Walden ha avanzato allo stesso Segretario all’Energia: “Lavorare con il Messico e il Canada ad una strategia energetica con approccio nord-americano”.

Ma decisamente più rumore ha fatto un’altra sortita del senatore Cramer indirizzata al capo della Casa Bianca: “impedire” alle petroliere saudite di attraccare in America.

Un’idea che a The Donald non è dispiaciuta (“Abbiamo certamente un sacco di petrolio. Così ci farò un pensiero”), ma che non incontra il favore di produttori e analisti, cui non sfugge che le raffinerie Usa non sono concepite per operare esclusivamente con lo shale ma richiedono un quantitativo costante e massiccio di greggio estero senza il quale non sarebbe possibile produrre a costi competitivi il carburante per veicoli e aerei.

Nel mentre il governo decide il da farsi, alcuni produttori stanno comunque già valutando di agire per conto proprio. Politico segnala ad esempio che i regolatori del Texas e del Nord Dakota si stanno consultando per telefono sistematicamente con le loro controparti di Oklahoma e Canada per contemplare tagli congiunti della produzione.

È una soluzione caldeggiata soprattutto dal presidente della commissione Railroad del Texas, Wayne Christian, convinto che lo choc dei prezzi si attenuerebbe qualora gli Stati dell’Unione che producono circa il 55% del petrolio Usa attuassero una qualche sorta di coordinamento.

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