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Embargo Petrolio

Tutte le conseguenze in Germania dell’embargo contro il petrolio russo

Come si muoverà la Germania sull'embargo Ue al petrolio russo. L'approfondimento di Pierluigi Mennitti da Berlino

 

L’embargo europeo al petrolio russo metterà a rischio la continuità dei rifornimenti energetici nella Germania orientale. Il governo di Berlino ha deciso di correre il rischio, appoggiando la proposta elaborata dalla Commissione europea che prevede lo stop entro sei mesi al greggio da Mosca, con qualche eccezione per i paesi più esposti (Slovacchia e Ungheria).

Ma sei mesi forse non basteranno ai tedeschi per rimpiazzare tutto il petrolio che al momento arriva dalla Russia, o almeno non dappertutto. Di strozzature regionali ha già parlato il ministro dell’Economia e del Clima Robert Habeck, indicando proprio le regioni dell’est. 

L’emergenza ha un nome chiaro: raffineria PCK di Schwedt, la cui proprietà appartiene in maggioranza alla russa Rosneft che non ha mostrato alcuna intenzione di utilizzare nei suoi impianti altro petrolio che quello russo. Si trova in Brandeburgo, il Land orientale confinante con la Polonia che abbraccia Berlino.

E i suoi problemi potrebbero apparire un dettaglio marginale, se non fosse che l’impasse rischia coinvolgere anche la capitale, geograficamente piazzata al centro di quella che fu la Ddr. Dunque Berlino va incontro a una nuova emergenza energetica, come accadde all’indomani del secondo dopoguerra con il blocco della metà occidentale voluto da Stalin? Sarà necessaria una versione aggiornata del ponte aereo, tipo quello che tra il 1946 e il 1947 assicurò con una spettacolare organizzazione logistica degli alleati la sopravvivenza di Berlino Ovest, infliggendo all’Urss il primo vero smacco della Guerra Fredda?

I paragoni storici sono suggestivi quanto impropri. E tuttavia, come si rileva dai dati forniti dalla stessa azienda petrolifera, nove auto su dieci sia a Berlino che in Brandeburgo viaggiano con carburante raffinato a Schwedt. E non si tratta solo di mobilità privata. Anche gli autobus e il parco motorizzato di polizia e vigili del fuoco della capitale si muove grazie al lavoro della raffineria di Schwedt, da cui dipende anche tutta l’attività del nuovo aeroporto centralizzato intitolato a Willy Brandt. occupa 3.000 lavoratori, divenuti piuttosto inquieti nelle ultime settimane, tanto da formalizzare un appello ai governi federale e regionale per trovare soluzioni che salvaguardino operatività e posti di lavoro.

Un secondo impianto in Germania est si trova in Sassonia-Anhalt, il piccolo Land a sud-ovest della capitale. Si trova a Leuna, tra Halle e Lipsia e rifornisce l’area centrale dei Länder dell’est con petrolio russo trasportato attraverso l’oleodotto Druschba. Per quanto riguarda la mobilità, la raffineria di Leuna serve circa 1.300 stazioni di servizio nei Land di Sassonia-Anhalt e Turingia. Qui la transizione si annuncia meno complessa, la maggiore vicinanza all’Ovest dovrebbe rendere più agevole l’accesso a forniture alternative.

L’operatore di questa seconda industria, il gruppo francese Totalenergies, aveva anticipato i tempi e deciso già a marzo, ai primi rombi di guerra, di programmare l’abbandono del petrolio russo entro la fine dell’anno. Un contratto di fornitura con Mosca è già scaduto a marzo, i primi carichi di approvvigionamento alternativo sono già in una fase di scarico, fanno sapere dall’azienda: la fase di conversione è già iniziata.

Oltre al trasporto, i prodotti delle due raffinerie orientali alimentano l’industria chimico-farmaceutica della regione che, secondo l’associazione di categoria, impiega circa 54.500 persone in 160 aziende.

La vera emergenza è dunque a Schwedt. Rosneft ne detiene il 54,17%, Shell il 37,5, Eni l’8,33. La proposta di Rosneft di acquisire la quota di Shell salendo così al 91,67% delle azioni, approvata ancora il 21 febbraio dall’Agenzia federale tedesca per la concorrenza, è stata messa sotto esame dal governo tedesco. nel frattempo è cambiato il mondo e l’azionista di minoranza Shell ha garantito un maggiore impegno sul sito in caso di interruzioni di fornitura.

Per il ministro regionale dell’Energia Jörg Steinbach (SPD) la raffineria è “parte dell’infrastruttura critica che deve essere assolutamente protetta”. E anche quello federale Habeck è al lavoro per trovare le soluzioni. Quelle sul piano societario prevedono la mossa suprema dell’esproprio. Ci si appellerebbe a un comma della legge che prevede la nazionalizzazione di un’infrastruttura quando è a rischio la sicurezza energetica del paese. Il ministro sta valutando con i consiglieri giuridici i passi da intraprendere.

Per quanto riguarda i rifornimenti, si lavora invece sulle alternative, che sono meno semplici di quanti si pensi. A monte i contatti sono con i paesi fornitori:  Norvegia, Gran Bretagna, Kazakistan, Libia, Nigeria e Stati Uniti. A valle si punta al potenziamento delle strutture del porto di Rostock, sul Baltico, da cui già parte un oleodotto in grado di raggiungere Schwedt. Da qui potrebbe arrivare tra il 55 e il 60% delle forniture oggi consegnate da Mosca. 

Una parte restante può giungere dalla Polonia. Habeck è in trattativa da giorni con la controparte polacca per utilizzare una pipeline dal porto di Danzica. Sarebbe una piccola, ulteriore aggiunta, che potrebbe garantire alla raffineria in Brandeburgo di coprire complessivamente il 70% del fabbisogno attualmente garantito dai russi. Resta un ulteriore 30% da coprire, in sei mesi. Altrimenti le regioni dell’est e Berlino dovranno far conto con strozzature e prezzi più alti che in altre regioni tedesche.

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