Dopo aver minacciato dazi sui paesi che acquisteranno petrolio o gas dal Venezuela, Donald Trump ha deciso di portare avanti la sua politica di “massima pressione” anche su un altro regime avversario degli Stati Uniti: l’Iran.
TRUMP CONTRO L’IRAN
In un post su Truth Social, il suo social network simile a X, il presidente ha scritto che “qualsiasi paese o persona che acquisti qualsiasi quantità di petrolio o di prodotti petrolchimici dall’Iran sarà soggetto, immediatamente, a sanzioni secondarie” e non potrà fare affari negli Stati Uniti “in nessun modo”.
Colpire il settore petrolifero è un modo per fiaccare le finanze dell’Iran e forse far vacillare la tenuta del regime, o quantomeno indebolire la sua posizione nei negoziati sul nucleare in corso. La Casa Bianca ha detto di voler impedire a Teheran di sviluppare un’arma atomica e accusa il paese di finanziare organizzazioni armate in Medioriente ostili agli Stati Uniti, come gli houthi yemeniti che attaccano le navi passanti per il mar Rosso.
LE CONSEGUENZE SUI PREZZI DEL PETROLIO
L’annuncio ha fatto crescere di circa l’1,7 per cento i prezzi internazionali del greggio, dato che l’Iran è uno dei maggiori produttori dell’Opec, il cartello degli esportatori capeggiato dall’Arabia Saudita: il Brent, il contratto basato sul mare del Nord, è salito a 62,1 dollari; mentre il Wti, cioè il riferimento americano, a 59,2 dollari.
COSA C’ENTRA LA CINA
Attraverso le sanzioni secondarie, gli Stati Uniti puntano a isolare l’Iran punendo tutti i paesi terzi che vi intrattengono relazioni commerciali: questi ultimi, per non rischiare di perdere l’accesso al ricco mercato americano, potrebbero essere incentivati a interrompere le importazioni.
Per essere davvero efficaci, però, queste sanzioni dovrebbero prendere di mira le società e le banche cinesi che effettuano o facilitano le operazioni di compravendita di petrolio iraniano: in caso contrario, le esportazioni petrolifere di Teheran non saranno granché toccate dalla decisione di Trump. Questo perché la Cina è la maggiore acquirente di greggio iraniano, importandone oltre un milione di barili al giorno. Intaccare questi flussi è difficile perché le spedizioni vengono spesso ricevute da piccole raffinerie indipendenti, che sono pressoché slegate dal sistema finanziario statunitense e dunque poco vulnerabile alle sanzioni.
La Cina è anche la principale acquirente di greggio venezuelano.