Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha scritto su Truth Social, il social network di sua proprietà, che “adesso la Cina può continuare ad acquistare petrolio dall’Iran”, facendo riferimento al cessate il fuoco con Israele successivo ai bombardamenti americani sui principali siti nucleari iraniani. “Si spera”, ha aggiunto Trump nel suo post, che la Cina “acquisti [petrolio, ndr] in abbondanza anche dagli Stati Uniti. È stato un mio grande onore far sì che ciò accadesse!”.
Gli Stati Uniti sono i maggiori produttori di petrolio al mondo; la Cina è invece il paese che importa più greggio, oltre che la principale acquirente di quello iraniano.
TRUMP CAMBIA STRATEGIA SULL’IRAN?
La dichiarazione di Trump sembra indicare un’inversione rispetto alla linea precedentemente tenuta dalla sua amministrazione. A maggio, peraltro, il presidente aveva annunciato sempre su Truth Social che “qualsiasi paese o persona che acquisti qualsiasi quantità di petrolio o di prodotti petrolchimici dall’Iran sarà soggetto, immediatamente, a sanzioni secondarie” e non potrà fare affari negli Stati Uniti “in nessun modo”.
Le restrizioni sul settore petrolifero iraniano sono state utilizzate da Washington per fiaccare le finanze dell’Iran e forse far vacillare la tenuta del regime, oltre a indebolire la sua posizione nei negoziati sul nucleare: rientravano in una strategia chiamata – appunto – di “massima pressione”.
Attraverso le sanzioni secondarie, gli Stati Uniti puntano a isolare l’Iran punendo tutti i paesi terzi che vi intrattengono relazioni commerciali; questi ultimi, per non rischiare di perdere l’accesso al ricco mercato americano, potrebbero essere indotti a interrompere le importazioni.
Per essere davvero efficaci, però, queste sanzioni secondarie devono prendere di mira le società e le banche cinesi che effettuano o facilitano le operazioni di compravendita di petrolio iraniano; in caso contrario, le esportazioni petrolifere di Teheran non verrebbero granché toccate dalle restrizioni. Questo perché – come detto – la Cina è la maggiore acquirente di greggio iraniano, importandone oltre un milione di barili al giorno: intaccare questi flussi è difficile perché le spedizioni vengono spesso ricevute da piccole raffinerie indipendenti, che sono pressoché slegate dal sistema finanziario statunitense e dunque poco vulnerabile alle sanzioni.
LA SPIEGAZIONE DELLA CASA BIANCA
La Casa Bianca ha poi ridimensionato le dichiarazioni di Trump sulla Cina e il petrolio iraniano, spiegando che il presidente non stava segnalando un cambio di politica ma solo descrivendo i risultati del bombardamento americano sull’Iran.
“Il presidente”, ha detto un funzionario della Casa Bianca, le cui parole sono state riportate dal Financial Times, “stava semplicemente richiamando l’attenzione sul fatto che, grazie alle sue azioni decisive per distruggere i siti nucleari iraniani e mediare un cessate il fuoco tra Israele e Iran, lo stretto di Hormuz non subirà ripercussioni, che sarebbero state devastanti per la Cina”. Lo stretto di Hormuz è uno dei più importanti punti di passaggio del commercio petrolifero globale ed è, di conseguenza, fondamentale per l’approvvigionamento cinese di combustibili fossili: si pensava che Teheran potesse impedire l’accesso allo stretto – “chiudendolo”, di fatto – come ritorsione per gli attacchi israeliani e americani.
Dalla Casa Bianca hanno poi aggiunto che la Cina “e tutti gli altri paesi” dovrebbero “importare il nostro petrolio di qualità piuttosto che importare petrolio iraniano in violazione delle sanzioni statunitensi”.
LE SANZIONI AMERICANE SUL PETROLIO IRANIANO
Dallo scorso marzo gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni su diverse piccole raffinerie indipendenti cinesi – in gergo si chiamano teapot, o “teiere” -, che sono le principali acquirenti del greggio iraniano. Hanno preso di mira anche alcune società coinvolte nel trasporto petrolifero dall’Iran alla Cina e le cosiddette “petroliere ombra” utilizzate per queste spedizioni illecite.
Al tempo, il segretario del Tesoro Scott Bessent dichiarò che gli Stati Uniti, attraverso le sanzioni sul petrolio, avevano “preso l’impegno a tagliare i flussi di entrate che consentono a Teheran di continuare a finanziare il terrorismo e a sviluppare il suo programma nucleare”.
Circa tre mesi dopo, però, Trump ha invitato pubblicamente la Cina ad acquistare greggio dall’Iran: probabilmente lo ha fatto per mandare un messaggio rassicurante ai mercati – già poco preoccupati per le conseguenze della guerra israelo-iraniana, in realtà -, ed evitare una salita dei prezzi del petrolio. Peraltro, pare che a giugno la produzione petrolifera dell’Iran raggiungerà il valore più alto in sette anni, superando i 3,5 milioni di barili al giorno.