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Price Cap

Vi spiego mire e incognite del piano del governo per l’estrazione di gas

Che cosa ha deciso il governo su trivelle e gas. Gli obiettivi condivisibili del provvedimento e due potenziali criticità. L'approfondimento di Sergio Giraldo, manager del settore energetico

 

Il Consiglio dei ministri di venerdì ha stabilito di rilanciare l’attività delle trivelle nei mari che circondano l’Italia, per estrarre volumi di gas pari ad almeno 15 miliardi di metri cubi in 10 anni.

La norma che sblocca le attività di estrazione dovrebbe vedere la luce come emendamento governativo al decreto Aiuti ter, ora in parlamento in fase di conversione. Cosa contiene il provvedimento del governo? Innanzitutto, in deroga al Pitesai, il piano in vigore che regola le attività di prospezione ed estrazione degli idrocarburi, si potranno aprire pozzi con riserve stimate sopra i 500 milioni di metri cubi oltre le 9 miglia marine (ed entro le 12 che segnano le acque territoriali), al di sotto del 45° parallelo. A nord di questo, nell’Adriatico, secondo vecchi studi, le attività di estrazione comporterebbero un rischio di subsidenza della laguna di Venezia.

Le riserve di gas stimate in Italia non sono molte. Secondo il ministero della sicurezza energetica quelle certe sono 39,8 miliardi di metri cubi (di cui 17 in mare), quelle probabili 44,5 miliardi di metri cubi. Il governo punta quindi sulle riserve marine certe.

Le concessioni avranno durata decennale e il flusso atteso a regime del gas estratto dovrebbe assestarsi tra gli 1,5 e i 2 miliardi di metri cubi all’anno. I titolari delle concessioni che saranno messe a gara dovranno obbligatoriamente cedere il gas estratto nella quota del 75% per i primi due anni, e del 50% negli anni successivi, al Gestore dei Servizi Energetici (GSE). Il quale a sua volta girerà il gas alle imprese cosiddette gasivore, ovvero quelle identificate dal decreto ministeriale 541 del 21 dicembre 2021, in ossequio all’art. 44 del Regolamento n. 651/2014 della Commissione Ue. Secondo il decreto, sono gasivore le imprese che hanno un consumo medio di gas superiore a 94.000 metri cubi all’anno, operano nei settori elencati dal decreto e presentano un certo indice di intensità gasivora.

Il prezzo a cui gli operatori cederanno il gas alle imprese gasivore attraverso il GSE sarà parametrato ai costi di estrazione, garantendo ai titolari delle concessioni un equo ritorno dell’investimento. Secondo il ministro Gilberto Pichetto Fratin, posto che le quantità annuali a regime attese da questa iniziativa dovrebbero coprire buona parte delle esigenze delle imprese gasivore italiane, oggi il prezzo è ipotizzabile in una forchetta compresa tra 50 e 100 €/MWh.

La novità però è che il riconoscimento dello “sconto” alle imprese gasivore viene anticipato a partire da gennaio. Dunque, un decreto interministeriale dovrà stabilire le modalità di svolgimento delle aste e i criteri con cui il vantaggio del prezzo più basso sarà trasferito alle imprese, prima ancora che il gas sia effettivamente disponibile.

Senza dubbio appare positivo che si dia un impulso alle estrazioni nazionali, allargando il limite delle 9 miglia dalla costa che non aveva ragione di esistere. Il contributo di 1,5 miliardi di metri cubi all’anno di gas in più può non sembrare molto, rispetto ai circa 70 miliardi consumati in un anno in Italia, ma con una produzione nazionale che per il 2022 dovrebbe arrivare a circa 3 miliardi di metri cubi, la nuova produzione rappresenterebbe un +50%, dopo vent’anni di crescita negativa. Inoltre, questo quantitativo viene destinato alle imprese che più di altre hanno sofferto per il caro energia, con il lodevole intento di sostenerne la competitività rispetto alle imprese di altri paesi.

Se quindi l’aumento della produzione nazionale è un ottimo segnale per aiutare a ripristinare l’equilibrio domanda offerta e diminuire la dipendenza dall’estero, e se è positiva l’intenzione di aiutare le imprese gasivore con una quota di gas scontato a loro riservata, due sono però le criticità emergenti.

La prima è che, dopo gli atti straordinari sugli stoccaggi, la energy release delle rinnovabili a cura del GSE e tutti gli interventi dello Stato che si sono succeduti nell’ultimo anno, questo provvedimento sancisce ancora una volta il sostanziale fallimento del mercato, che non ha retto al primo serio shock esterno. Mentre si cerca, come è giusto, di tamponare l’emergenza, sarebbe opportuno avviare una seria revisione del quadro regolatorio di ciò che ancora chiamiamo “mercato” più per abitudine che per pratica. Ovviamente, l’Europa è tutt’altro che estranea a questo quadro.

La seconda obiezione è che questa gas release, basata sull’anticipo di un beneficio di prezzo applicato a quantitativi che arriveranno in futuro, già nelle intenzioni stimolerà la domanda industriale e questo potrebbe provocare un nuovo aumento dei prezzi del gas, in una situazione al limite come quella in cui ci troveremo a gennaio. Il meccanismo dovrà quindi essere studiato molto bene per prevenire questo problema ed evitare che le buone intenzioni portino su una strada tutt’altro che desiderabile.

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