Il 70 per cento delle importazioni di terre rare dell’Unione europea proviene da un paese solo: la Cina. Negli Stati Uniti la dipendenza da Pechino è ancora più alta, all’80 per cento, ma Washington si sta muovendo con maggiore decisione rispetto all’Europa per diversificare le forniture e a rafforzare la filiera nazionale dedicati questi materiali strategici per l’elettronica, l’automotive, l’energia e la difesa.
TUTTI GLI ACCORDI AMERICANI DI SOLVAY
E così, la settimana scorsa l’azienda belga Solvay – che gestisce il più grande impianto di lavorazione delle terre rare al di fuori della Cina: si trova a La Rochelle, in Francia – ha firmato un accordo per spedire negli Stati Uniti i materiali processati nello stabilimento francese: a riceverli sarà Noveon Magnetics, società americana che realizza magneti per le automobili e le turbine eoliche.
Attualmente, la Cina controlla il 70 per cento dell’estrazione di terre rare a livello globale, l’85 per cento della capacità di raffinazione e circa il 90 per cento della trasformazione in magneti.
Solvay ha stretto anche un secondo accordo con un’azienda britannica, Less Common Metals, volto sempre a garantire forniture di materiali in terre rare negli Stati Uniti.
L’EUROPA È TROPPO LENTA SULLE TERRE RARE?
L’amministratore delegato di Solvay, Philippe Kehren, ha riconosciuto che gli Stati Uniti stanno procedendo più rapidamente dell’Unione europea nello sviluppo di filiere non-cinesi delle terre rare. “Sembra che negli Stati Uniti le cose stiano procedendo un po’ più velocemente”, ha dichiarato mercoledì scorso durante una conferenza stampa; l’Europa, al contrario, non si sta muovendo con altrettanta velocità nel creare le condizioni per l’aumento degli investimenti nelle terre rare.
Nelle ultime settimane gli Stati Uniti hanno firmato degli accordi sulle terre rare con Australia, Cambogia, Thailandia e Malaysia che dovrebbe garantirgli un accesso maggiore a questi minerali critici. Aziende come Mp Materials e Lynas, inoltre, stanno espandendo le loro capacità produttive sul suolo americano.
IL CRITICAL RAW MATERIALS ACT E IL RITARDO EUROPEO
Con il Critical Raw Materials Act, entrato in vigore lo scorso maggio, la Commissione europea ha stabilito che entro il 2030 l’Unione dovrà estrarre almeno il 10 per cento dei minerali critici – incluse le terre rare – che consuma, dovrà processarne il 40 per cento e riciclarne il 15 per cento. A detta di Kehren, il progetto europeo è ambizioso, ma Bruxelles è in ritardo rispetto a Washington su diversi fronti.
Ad esempio, per le aziende è costoso e rischioso investire nella produzione di terre rare, dato che la Cina ne controlla il mercato e ha perciò il potere di “manipolare” i prezzi, tenendoli bassi in modo da danneggiare la concorrenza estera. Gli Stati Uniti, allora, garantiscono una sorta di redditività minima per gli investimenti alle imprese del settore. “Per avere un business case reale”, ha dichiarato Kehren, “è necessario avere clienti che garantiscano un certo livello di volume e un certo livello di prezzo. Oggi, in Europa non abbiamo ancora tutto questo”.
Ad esempio, in Europa l’estrazione di terre rare è scarsa e le aziende – a partire da Solvay – devono fare affidamento sulle forniture estere, in particolare dall’Australia. Il 98 per cento della domanda comunitaria di magneti in terre rare viene comunque soddisfatta dai cinesi: all’industria europea mancano sia l’economia di scala che le competenze tecniche.
BREVE STORIA DI SOLVAY
Fino alla metà degli anni Ottanta il gruppo chimico francese Rhône-Poulenc (acquisito da Solvay nel 2011), aveva una quota del 50 per cento circa del mercato mondiale della raffinazione delle terre rare.
Negli anni Ottanta e Novanta lo stabilimento di La Rochelle, sulla costa occidentale della Francia, gestito da Solvay, produceva fino a 15.000 tonnellate di ossidi di terre rare all’anno. Ad aprile l’impianto ha annunciato che ricomincerà a produrre ossidi di terre rare pesanti e leggere da destinare alla produzione di magneti, utilizzando materie prime di provenienza non-cinese.
GLI ALTRI PROGETTI EUROPEI SULLE TERRE RARE
La startup Carester, nata nel 2019, ha l’obiettivo di avviare la produzione di ossidi di terre rare pesanti dal 2026, utilizzando sempre forniture non-cinesi. Una sussidiaria della società, chaimata Caremag, ha ricevuto a marzo un finanziamento di 216 milioni di euro da investitori giapponesi e dal governo francese per aprire un impianto di raffinazione e riciclo a Lacq, nel sud della Francia: nella lista dei futuri clienti compare la casa automobilistica Stellantis.
Nei pressi di Lacq, anche la già citata Less Common Metals ha in programma l’apertura di un impianto da 110 milioni di euro dedicato alla lavorazione degli ossidi di terre rare in materiali per i magneti permanenti.
MagReesource, nata da una costola del Centro nazionale della ricerca scientifica, un ente statale francese, punta ad arrivare a produrre mille tonnellate di magneti in terre rare all’anno entro il 2027: si tratta però di un volume molto piccolo rispetto alle 16.000 tonnellate di magneti che l’Europa importa ogni anno dalla Cina.
– Leggi anche: Terre rare, la Francia è la speranza dell’Europa contro la Cina?
A Narva, in Estonia, si trova l’unica fabbrica di magneti in terre rare d’Europa, realizzata dalla società canadese Neo Performance Materials e finanziata in parte dall’Unione europea.




