Skip to content

terre rare

La Cina limita (di nuovo) le terre rare per mettere pressione a Trump

La Cina inasprisce di nuovo le regole per l'esportazione di terre rare, un gruppo di metalli critici per la difesa e l'energia di cui domina le forniture. Pechino vuole arrivare all'incontro con Trump da una posizione di forza. Tutti i dettagli.

Dopo quelle dello scorso aprile, la Cina ha annunciato una serie di nuove restrizioni alle esportazioni di terre rare e derivati, alcune delle quali entreranno in vigore dal 1 dicembre e altre con effetto immediato.

L’INCONTRO TRUMP-XI

Il tempismo della decisione è notevole: questo mese dovrebbe tenersi il vertice in Corea del sud tra i presidenti Xi Jinping e Donald Trump, dove si discuterà di un accordo commerciale, e Pechino sembra voler arrivare all’incontro da una posizione di forza.

Il dominio sulla filiera delle terre rare – un gruppo di diciassette metalli fondamentali per i settori della difesa, dell’elettronica, dell’automobile e dell’energia – rappresenta infatti una grossa leva negoziale nelle mani della Cina, che vale da sola circa il 70 per cento delle forniture globali di questi materiali, controllandone in particolare le fasi di raffinazione e di trasformazione in magneti.

Sempre per rafforzare la sua posizione in vista dell’incontro con Trump, negli ultimi mesi la Cina ha trattenuto gli acquisti di soia americana. Di solito, il paese ne è un enorme acquirente: l’anno scorso, ad esempio, ha comprato circa il 45 per cento di tutte le esportazioni statunitensi di questo legume.

LE NUOVE RESTRIZIONI CINESI

Stando alle nuove regole, le aziende che vendono all’estero prodotti contenenti anche piccole tracce di terre rare cinesi dovranno prima ottenere da Pechino una speciale licenza di esportazione. Saranno sottoposti a controlli anche diversi macchinari e tecnologie ingegneristiche legati alla lavorazione – riciclo incluso – di questi metalli.

Il meccanismo introdotto dalla Cina non è troppo diverso da quello applicato dagli Stati Uniti sulle esportazioni di processori avanzati (come quelli per l’intelligenza artificiale) e di apparecchiature per la manifattura di microchip contenenti tecnologia americana. Sembrerebbe peraltro che Pechino abbia preso di mira anche l’industria statunitense dei semiconduttori, avendo specificato che le vendite di prodotti utilizzati nella ricerca e lo sviluppo di alcuni chip verranno ora esaminate caso per caso.

L’OCCIDENTE VUOLE FARE A MENO DELLE TERRE RARE CINESI

La difficoltà – quando non l’impossibilità – di accedere alle terre rare cinesi potrebbe avere serie ripercussioni sulle aziende americane ed europee, data la scarsità di fornitori alternativi, e costringerle a rallentare o sospendere i loro cicli produttivi.

Di certo, le nuove restrizioni incrementeranno gli sforzi dell’Occidente per la costruzione di filiere non-cinesi per questi materiali.

Il dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, per esempio, ha investito 400 milioni di dollari in Mp Materials, società americana che gestisce l’unica miniera di terre rare della nazione – si trova a Mountain Pass, in California – e che sta lavorando anche all’apertura di un impianto per la produzione di magneti. In Australia ha sede Lynas, che possiede uno stabilimento di lavorazione delle terre rare in Malaysia e ne sta realizzando uno in Texas.

Quanto all’Europa, l’unica fabbrica di magneti in terre rare ha aperto recentemente in Estonia: è gestita da Silmet, una controllata della compagnia canadese Neo Performance Materials. L’Unione europea sta puntando anche sulla Francia.

Tutti questi sforzi, comunque, se anche dovessero avere successo, non modificano la situazione nel presente di pressoché totale affidamento alla Cina.

Torna su