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Biden Pompeo

Sudan, tutti i dossier energetici della missione di Pompeo

Che cosa c'è in ballo nella missione del segretario di Stato Usa, Pompeo, in Sudan

È di domenica 23 agosto la notizia dell’imminente visita del Segretario di Stato statunitense Mike Pompeo in Sudan. A riportarlo è l’agenzia di stampa Reuters, la quale cita funzionari sudanesi e statunitensi. I due Paesi sono in fase di normalizzazione delle proprie relazioni bilaterali, soprattutto a seguito del colpo di Stato dell’11 aprile 2019: in quell’occasione il presidente sudanese Omar al-Bashir è stato deposto dall’esercito a seguito dello scoppio di proteste fra la popolazione. All’origine delle manifestazioni vi erano le politiche di taglio della spesa pubblica decise a dicembre 2018 e volte a risollevare l’economia del Paese dopo anni di sanzioni statunitensi, ufficialmente rimosse solo il 13 gennaio 2017 in cambio di una serie di azioni come l’interruzione del supporto delle forze ribelli nel Sudan del Sud e la cooperazione con l’intelligence statunitense.

L’obiettivo diplomatico del Sudan è quello di essere rimosso dalla lista dei Paesi sponsor del terrorismo redatta dal Dipartimento di Stato statunitense, all’interno della quale il Sudan è presente dal 12 agosto 1993. Sullo stesso fronte si struttura il processo di normalizzazione dei rapporti con Israele: a febbraio 2020 si è tenuto un incontro fra il presidente del Sudan Abdel Fattah al-Burhan ed il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu e secondo i commentatori questo progressivo avvicinamento è anch’esso volto alla rimozione del titolo di Paese sponsor del terrorismo e delle sue conseguenze sul piano dei mercati finanziari. Si tratta comunque di un processo complesso che procede per gradi e che ha visto ad agosto il licenziamento del portavoce del Ministero degli Esteri sudanese Haydar Sadig per via di una sua affermazione su dei contatti avvenuti fra il Sudan ed Israele. In quell’occasione il Ministero degli Esteri ha negato la discussione di possibili relazioni diplomatiche, dimostrando come il processo di normalizzazione sia tutt’altro che concluso.

LA RIDUZIONE DEL RISCHIO INTERNO E LA SICUREZZA ENERGETICA

Il 18 agosto viene data la notizia della firma di un accordo fra il Governo sudanese ed uno dei principali gruppi ribelli del Paese, il Movimento Popolare di Liberazione del Sudan-Nord, al fine dell’integrazione di questi ultimi nelle fila dell’Esercito sudanese entro 39 mesi. Si tratta dell’esito di un processo di distensione avviato ad ottobre 2019 e copre le regioni delle Montagne di Nuba e gli Stati del Nilo. La mossa del Sudan è la rappresentazione della volontà dello Stato di mitigare il più possibile le attività di gruppi terroristici al suo interno, perseguendo lo sforzo di contenimento del rischio proveniente da essi per la pace e la sicurezza nazionale. Stabilizzare le forze eversive all’interno del Paese è un passo fondamentale in quanto il persistere di minacce alla sicurezza è un fattore che impedisce l’aumento della produzione e delle esportazioni petrolifere del Sudan e del Sudan del Sud.

IL RUOLO DEL SUDAN NELLA DIPLOMAZIA ENERGETICA REGIONALE

Il dossier energetico dove il Sudan sta attualmente concentrando i propri sforzi è sicuramente la gestione della diga costruita dall’Etiopia ed in fase di riempimento. La Grand Ethiopian Renaissance Dam è in costruzione dal 2011 ed il 15 luglio 2020 è stata data la notizia dell’avvio del riempimento del bacino idrico della struttura, tramite dichiarazione del ministro dell’Acqua dell’Etiopia. L’obiettivo dell’infrastruttura è quello di rendere il Paese il più grande esportatore di elettricità dell’Africa. Il conflitto fra le parti deriva dalla posizione geografica dell’Etiopia, in grado di trarre vantaggio dallo sfruttamento delle acque del Nilo, e degli altri due Paesi coinvolti che temono di vedere il proprio accesso alle risorse idriche ridotto per via dell’azione della diga, la quale ostacola il flusso d’acqua in arrivo nel territorio sudanese ed egiziano.  Se l’Etiopia e l’Egitto mostrano il maggior grado di divergenza dei propri interessi relativamente al progetto, con quest’ultimo che vede la propria sicurezza idrica fortemente compromessa, il Sudan si è mosso per ravvivare il dialogo fra le parti proponendo un ritorno alle negoziazioni a maggio di quest’anno – proposta poi accettata dagli altri due Stati  – e si è ritagliato un ruolo da mediatore fra il Cairo ed Addis Abeba. Inoltre, se in principio il Sudan si opponeva alla costruzione della diga, col tempo ha moderato la propria posizione pur mantenendo la preoccupazione per la sicurezza delle proprie dighe, per la possibilità di riduzione del flusso d’acqua o eventuali inondazioni. Inoltre, il Sudan ha sempre ribadito la propria opposizione ad un riempimento unilaterale della diga etiope, ribadendo la necessità di agire a seguito di accordi multilaterali fra i Paesi coinvolti.

(Estratto di un articolo pubblicato su Energia Oltre)

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