Numerose le procedure di infrazione avviate dall’Ue nei confronti dell’Italia per troppo smog nell’aria, ma il Bel Paese continua a violare la normativa europea in materia ambientale
Troppo smog in Italia. E come noto, l’articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e l’art. 106 del trattato CEEA, a fronte della violazione della normativa comunitaria da parte degli Stati membri, contemplano un potere di intimazione della Commissione europea nei confronti del Paese che se ne renda autore, affinché ponga fine all’infrazione e, se questo non accade, il potere di adire la Corte di Giustizia con ricorso per inadempimento del diritto europeo.
Smog in Italia: la Commissione Ue si affida ai procedimenti amministrativi

L’arrivo per parere motivato (a breve)
La seconda tappa è costituita dal parere motivato, nel quale la Commissione esprime il suo punto di vista sull’infrazione e crea i presupposti per un eventuale ricorso per inadempimento, chiedendo allo Stato membro di porre fine all’infrazione entro un dato termine. In caso di perdurante inosservanza, infine, la Commissione può aprire una nuova procedura di infrazione, con una nuova lettera di costituzione in mora. Il ricorso alla Corte di Giustizia segna il passaggio alla fase contenziosa della procedura, in esito alla quale lo Stato membro può essere condannato a pagare una penalità calcolata anche sulla base della gravità dell’infrazione e della sua durata.
Le norme comunitarie contro inquinamento e smog
Numerose le procedure ad oggi avviate nei confronti dell’Italia per violazione della normativa europea in materia ambientale. Fra queste, quella instaurata per violazione da parte dello Stato italiano della direttiva 2008/50/CE (direttiva relativa alla “qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa”), in relazione alla quale la Commissione, in data 15 febbraio 2017, ha inviato all’Italia un parere motivato in cui si evidenzia il persistente superamento dei valori limite di biossido d’azoto, normativamente fissati, in 12 zone di qualità dell’aria.

A tali fini, la direttiva prescrive la predisposizione di piani per la qualità dell’aria e l’indicazione degli agglomerati entro i quali le concentrazioni di inquinanti superano i rispettivi valori limite, fissati con direttiva 1999/30/CE e seguenti per ogni sostanza inquinante, piani che devono essere in linea con quelli formulati dall’Unione. A fronte della natura spesso transfrontaliera dei fenomeni di inquinamento e dunque della difficoltà nel perseguimento degli obiettivi della direttiva in assenza di coordinamento a livello comunitario, è altresì prevista la possibilità di intervento dell’Unione, peraltro conformemente a quanto enunciato dal Trattato sulla base del principio di sussidiarietà.
La direttiva detta una serie di principi in ordine alla necessità che gli Stati membri designino le autorità competenti e gli organismi responsabili della valutazione della qualità dell’aria-ambiente; dell’approvazione dei sistemi di misurazione; dell’analisi dei metodi di valutazione; della cooperazione fra Stati membri e Commissione. Prescrizioni cui si è data puntualmente attuazione con il decreto di recepimento.
Nel dettaglio, il decreto stabilisce i valori limite per le concentrazioni di inquinanti, uniformandosi ai valori limite imposti a livello dell’Unione; indica gli obiettivi a lungo termine e i valori obiettivo, le soglie di allarme e le soglie di informazione, fondandosi sul principio di zonizzazione del territorio e individua puntualmente le metodiche di valutazione della qualità dell’aria, indicando altresì la ripartizione di funzioni e responsabilità a livello organizzativo interno.
Il recepimento delle norme da parte dell’Italia

La Commissione sollecita quindi l’Italia e gli altri Paesi “ad agire per garantire una buona qualità dell’aria e salvaguardare la salute pubblica”, ricordando che più di 400 mila cittadini muoiono prematuramente nell’UE ogni anno a causa della scarsa qualità dell’aria.
Nel parere inoltrato dalla Commissione si sottolinea che qualora gli Stati membri, nel termine perentorio di due mesi, non dovessero attivarsi efficacemente mediante l’individuazione, comunicazione e attuazione di “misure idonee” a porre fine alla violazione della normativa europea e ad adeguarsi alle relative prescrizioni, “la Commissione potrà decidere di deferirli alla Corte di giustizia dell’UE”, con le rilevanti conseguenze economiche inevitabilmente successive a una eventuale sentenza di condanna.
Daria Palminteri
Articolo pubblicato su Pianeta Terra di marzo 2017






