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Shale Gas

Come gli Stati Uniti sono diventati una superpotenza dello shale gas

L'intervista di Energia Oltre a Gianni Bessi, esperto di energia, sul ruolo degli Usa nel mercato del gas e sulle forniture di Gnl all'Europa.

 

“Gli Usa da semplici clienti sono diventati competitor dei petrostati tradizionali, grazie alla potenzialità delle produzioni, sostenute dall’innovazione tecnologica che permette di sfruttare giacimenti prima ‘dormienti’, ai nuovi progetti e alle infrastrutture”, ha spiegato a Energia Oltre Gianni Bessi, consigliere regionale in Emilia-Romagna e autore di Gas naturale. L’energia di domani (Innovative Publishing, 2019).

“Il grande gioco”, prosegue, “viene da lontano, dalle due guerre mondiali quando gli Stati Uniti decisero di mettere i ‘boots on the ground’ sul suolo europeo: la vittoria degli Usa, che ebbe come effetto la liberazione dell’Europa e la fine dell’Impero britannico, li portò a diventare la nuova potenza globale, in mare, in terra, nell’aria e nello spazio”.

Dove si produce il Gnl americano?

Dopo quello di Barnett Shale in Texas, che ho richiamato nella precedente conversazione, nel 2008, sono entrati in produzione altri quattro giacimenti, Haynesville Shale, in Louisiana e Texas, Faytteville Shale, Arkansas, Woodford Shale, Oklahoma e Marcellus Shale, che ha il suo cuore in Pennsylvania, ma che si estende dalla Virginia a New York.

Le stime indicano riserve di 14mila miliardi di metri cubi: solo il giacimento di Ghawar in Arabia Saudita ha una dimensione maggiore mentre Marcellus Shale potrebbe essere il più grande giacimento di gas naturale al mondo, superiore perfino al gigantesco North Field nel Qatar. Senza dimenticare il gigantesco ‘giacimento Permiano’ i cui confini vanno dal Texas al Nuovo Messico.

Dove e come si trasporta il Gnl statunitense?

Per quanto riguarda i mercati orientali attraverso il Canale di Panama, che è stato allargato nel 2016 con un raddoppio della capacità. Nel 2021 il canale ha registrato transiti per 516,7 milioni di tonnellate, con un aumento dell’8,7 per cento rispetto al 2020. I transiti delle navi Gnl sono in testa, con un aumento del 31,4 per cento rispetto all’anno precedente.

Ma ora l’Europa è diventata il primo cliente.

Washington non ha mai guadato solo a oriente e ha dato il via a un export con le gasiere di Gnl che dal terminale di Sabine Pass della compagnia Cheniere Energy si dirigono alla volta dei terminali polacchi e di quello di Klaipeda in Lituania. È stato il modo per mettere un piede nel mercato del gas europeo e limare le quote di forniture russe proprio nei paesi dell’ex cortina di ferro.

Ce la faranno gli Usa a sostituirsi alla Russia come fornitori di gas all’Europa?

Le prime indicazioni che sono arrivate in quest’ultimo periodo dagli Usa non sono ahimè confortanti. I vertici delle compagnie, tutte a capitale privato, che gestiscono vaste riserve di petrolio e gas naturale, che in teoria potrebbero alleviare la crisi energetica europea, hanno affermato che non saranno in grado di aumentare le forniture abbastanza rapidamente da prevenire la penuria invernale.

Insomma, non ci danno una mano perché non possono o perché non vogliono?

Tutte e due, veramente. Prima il ‘non possono’. Wil VanLoh, a capo del gruppo di private equity Quantum Energy Partners, ha ribadito che non è possibile pompare più gas e petrolio di così e che la produzione è quella che è. Non c’è nessun salvataggio in arrivo quindi né sul fronte del petrolio, né su quello del gas”.

Niente salvataggio made in Usa quindi.

Lo scenario è controverso perché tutto va inquadrato all’interno di due aspetti centrali della crisi energetica: il tempo per trovare soluzioni è sempre più ridotto e all’orizzonte non si vede un Piano B efficace. In questa situazione anche agli americani serve nuovo capitale. Non dimentichiamo che le aziende dello shale gas americano erano in sofferenza per la guerra dei prezzi al ribasso del 2018-2019 dove l’asse Russia e Paesi Opec aveva cercato in tutti i modi di stressare la parte costi delle compagnie americane. Ora che ne sono uscite non vogliono ricaderci: in questo periodo rialzista sono andate a ripianare il debito che avevano contratto”.

E poi c’è l’ostacolo dei contratti…

“Infatti. Un altro fattore limitante che viene dall’Europa è che non esiste la garanzia di offtaking di lungo periodo: l’Ue continua a confermare che in 5 anni la domanda di gas calerà sensibilmente per effetto degli investimenti in produzione green quindi l’Europa è in sostanza un ‘mercato a termine’. E questo fatto non incoraggia gli investimenti nello shale. Ma non sono sicuro che abbiamo fatto bene i conti”.

(Estratto di una serie di articoli pubblicati su Energia Oltre qui, qui e qui)

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