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Artico

Quanto conta il gas della Russia per l’Europa

L'analisi di Marco Giuli per Affarinternazionali.

Nelle ultime settimane i prezzi del gas naturale in Europa hanno raggiunto livelli senza precedenti. L’indice olandese Ttf – riferimento europeo per i mercati spot del gas – ha superato a settembre i 50 euro/MWh, dopo aver oscillato nell’ultimo decennio fra 5 e 30 euro/MWh. Tale dinamica prefigura rischi per la sicurezza energetica europea nel prossimo inverno e per le prospettive di ripresa post-Covid.

Diversi fattori hanno contribuito al recente rally dei prezzi. Primo, una ripresa della domanda mondiale di gas naturale liquefatto (gnl) – in particolare in Asia orientale e America Latina -, in combinazione con diverse strozzature nell’offerta, ha favorito un aumento dei prezzi a livello globale. In un mercato del gas sempre più globalizzato e non più frammentato regionalmente dalla rigida geografia dei gasdotti, l’Europa deve ormai inseguire (e superare) i prezzi asiatici per assicurarsi le forniture.

Secondo, la domanda europea è rimasta insolitamente sostenuta durante l’estate, a causa del lungo inverno precedente che ha ridotto sensibilmente le scorte e imposto la necessità del loro re-approvvigionamento. Terzo, la costante crescita dei prezzi delle emissioni in Europa – da 30 a 60 EUR/tCO2e fra gennaio e settembre – ha favorito l’aumento della domanda di gas nella generazione elettrica rispetto a quella del carbone. Quarto, i compratori europei hanno evitato di rinegoziare contratti di lungo termine, data l’incertezza su possibili nuove restrizioni per il Covid, la convenienza dei contratti spot nello scorso decennio, e non ultimo un quadro di ambizioni climatiche che hanno reso particolarmente incerte le prospettive del gas per i prossimi decenni. Tale predilezione per i mercati spot consente flessibilità sui volumi, al prezzo di un’esposizione maggiore ai rischi del mercato globale.

Infine, ha pesato il fattore Russia. Gazprom sta rifiutando di immettere quantità aggiuntive di gas sui mercati spot oltre a quelle dovute dagli obblighi contrattuali di lungo termine. Una politica di contrazione dell’offerta a cui si attribuiscono diverse motivazioni: esercitare pressioni per la rimozione degli ultimi ostacoli (ormai principalmente burocratici) alla messa in opera del contestato gasdotto Nord Stream 2, unica rotta attraverso la quale la Russia intende rendere disponibili quantità aggiuntive di gas; una riduzione di capacità dovuta a manutenzioni programmate e un incidente nel sito gasiero di Novyj Urengoj, che ha ridotto di un terzo i flussi nel gasdotto Jamal’-Europa verso Polonia e Germania; infine, la necessità di re-approvvigionare gli stoccaggi domestici.

Per il futuro, il quadro rimane incerto. Ben poco possono invece fare gli strumenti Ue per la sicurezza energetica, disegnati per interruzioni di singole infrastrutture o fornitori, ma non per affrontare carenze sui mercati globali. Gli europei possono dunque sperare nella Russia e in un inverno mite, o accettare di vedere i prezzi salire ulteriormente per sottrarre gas ai mercati asiatici. Nel medio periodo, il quadro appare complesso. Da un lato, i piani cinesi e indiani di aumento della capacità di importazione di gnl (quasi 27 bcm in aggiunta agli attuali 141 bcm) potrebbero significare ulteriori pressioni al rialzo, mentre non è chiaro se il Giappone – maggior importatore di gnl al mondo – perseguirà il passaggio dal gas al nucleare annunciato dal premier uscente Suga entro il 2030, riducendo la prioria domanda di gas nel prossimo decennio. Dal lato dell’offerta si attende ulteriore capacità di esportazione di gnl da parte di Qatar, Russia e Stati Uniti, che potrebbero complessivamente aggiungere fino a 160 bcm nel corso di questo decennio, pari a circa il 20% del gnl commerciato nel 2019.

Dal punto di vista strategico, il rally del gas riporta al centro dell’attenzione il tema della sicurezza energetica nelle relazioni euro-russe, deprioritizzato dall’agenda europea degli ultimi anni grazie alla combinazione di interventi regolamentari e congiunture di mercato benigne. Paradossalmente, proprio l’approccio UE al mercato del gas potrebbe finire sotto accusa da parte di alcuni stati per i rischi attuali – in particolare, la preferenza della Commissione per i mercati spot come alternativa a contratti di lungo termine, visti da Bruxelles come elementi di frammentazione del mercato interno e di condotte anticoncorrenziali.

Dall’attuale situazione è la Russia a ottenere vantaggi di breve termine, soprattutto sul piano simbolico. Dopo che anni di eccesso di offerta di gnl e adeguamento normativo e infrastrutturale avevano portato l’asimmetria nell’interdipendenza energetica euro-russa a favore dell’Europa, la Russia torna ad essere un partner indispensabile. Mosca intende mostrare ai consumatori europei che Nord Stream 2 offrirebbe la possibilità di mitigare l’esposizione europea ai rischi dei mercati globali, prendendosi una rivincita sull’ostilità politica e gli ostacoli regolamentari posti dalla Commissione nei confronti del gasdotto russo-tedesco. Minori vantaggi per la Russia si intravedono invece nel lungo periodo: se il gas appare agli europei necessario come non mai, appare anche meno affidabile e più costoso rispetto a poco tempo fa. Un contesto rischioso per gli esportatori, in una fase in cui l’Europa sembra sempre meno incline a privilegiare questa risorsa. Inoltre, l’attuale congiuntura di mercato giustifica l’emersione di nuova capacità di liquefazione e quindi maggiore concorrenza nei prossimi anni.

Dal punto di vista degli obiettivi climatici della Ue, molto dipende dalla durata della fase di alti prezzi. Un protratto super ciclo del gas potrebbe avere effetti contraddittori. Da un lato, in un mercato caratterizzato da eccesso di domanda, gli europei hanno meno margini per discriminare le loro importazioni di gas sulla base di criteri ambientali – come la moratoria francese sull’importazione di gas Usa – o per estendere al gas misure come il dazio verde (Cbam) proposto dalla Commissione. Inoltre, già con prezzi ai livelli attuali, servirebbe un prezzo delle emissioni a circa 100 euro/tCO2e per incentivare il passaggio dal carbone al gas. Dall’altro, con un gas costoso e inaffidabile diventa ragionevole accelerare i tempi della transizione energetica anche dal punto di vista delle scelte individuali dei consumatori, che potrebbero muoversi più rapidamente soluzioni di efficientamento e alternative disponibili. Insomma, la presente crisi darebbe un ulteriore colpo all’immagine di “combustibile di transizione” che l’industria ha cercato di costruire nell’ultimo decennio e che il Green Deal europeo sembra sempre meno incline a riconoscere.

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