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Energia

Vi spiego le falle del piano Draghi contro il caro energia

Tutti i dubbi economici e tributari (anche sotto il profilo costituzionale) sul “contributo a titolo di prelievo straordinario” per le imprese che operano nelle filiere di produzione e distribuzione di energia elettrica, gas e petrolio. L'analisi di Giuseppe Liturri

 

Avete mai visto il gestore di un ottovolante aumentare il costo del biglietto per coloro che fanno su e giù più velocemente? In Italia, mutatis mutandis, siamo capaci anche di questa assurdità.

E la prova l’abbiamo avuta venerdì 18, quando il governo guidato da Mario Draghi ha varato un decreto legge per il contenimento dell’impatto della crisi energetica su famiglie ed imprese italiane. Si tratta di aiuti, sotto diverse forme, che valgono la non trascurabile cifra di 4 miliardi. E il governo dove troverà questi fondi? Semplice, prelevando un “contributo a titolo di prelievo straordinario” su tutte le imprese che operano nelle filiere di produzione e distribuzione di energia elettrica, gas e petrolio.

Insomma, invece di fare un epocale mea culpa e confessare di aver pedissequamente seguito la UE nelle regole di funzionamento dei mercati di energia e gas che hanno trasformato il prezzo in una scheggia impazzita che volteggia sulle montagne russe, ben prima dello scoppiare dei tragici eventi bellici di queste settimane, a Roma hanno pensato bene di prendersela con le imprese che su quell’ottovolante sono state costrette a salirci, trascinandosi dietro i propri clienti.

Considerato l’importo di assoluta rilevanza atteso da questa norma e, osservando com’è stata progettata, viene quasi da pensare che sia stata concepita appositamente per farsela bocciare, ottenendo solo l’importante risultato di guadagnare tempo in attesa del prossimo Consiglio Europeo del 24 e 25 marzo, da cui si attendono importanti indicazioni sulle misure di breve e medio/lungo periodo per contenere l’impatto di questa crisi energetica.

Infatti non ha alcun senso in termini economici e tributari (anche sotto il profilo costituzionale) chiedere alle imprese del settore di calcolare il saldo tra operazioni attive e passive IVA del semestre ott/20-mar 21. Poi chiedergli di eseguire lo stesso calcolo per il semestre ott/21-mar/22. Infine, se l’incremento di quest’ultimo dato è superiore al 10% ed a 5 milioni, versare allo Stato un contributo del 10% su quella differenza. Equivale ad usare l’accetta durante un intervento in laparoscopia.

Non è un’imposta sui sovraprofitti, perché i dati ottenuti da quei calcoli non lo sono. Qualsiasi studente al primo anno di economia sarebbe sonoramente bocciato se pretendesse di associare a quelle grandezze una manifestazione di capacità contributiva, tali e tanti sono i distinguo da fare. E se in quel periodo l’impresa avesse avuto maggiori costi del personale o oneri finanziari (notoriamente al di fuori delle operazioni rilevanti ai fini IVA)? E se, da oggi al 31/3, un’impresa coinvolta decidesse di compiere ingenti acquisti di gas e petrolio destinandoli allo stoccaggio, abbattendo in questo modo il prelievo?

Lasciando all’eccellente contributo del professor Dario Stevanato tutti gli altri rilievi sulla tecnica di progettazione di questo contributo, confermiamo l’auspicio che sia stato appositamente progettato così male, solo per prendere tempo e mettere mano – nei limiti del possibile – alla soluzione della causa a monte. Sarebbe una sia pur minima consolazione.

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