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Power

Perché la transizione energetica è una sfida geopolitica

La transizione energetica ha molto più a vedere con la leadership mondiale che con il riscaldamento globale. La prefazione di Simone Pieranni al libro "Power" di Marco Dell'Aguzzo

Transizione energetica, riscaldamento globale, green economy, eco-ansia: sono tutte espressioni che ormai siamo abituati ad ascoltare o leggere con grande frequenza. Si tratti di talk show o di articoli sui giornali, il tema è ormai ampiamente trattato. Perfino la politica italiana ne parla, il che potrebbe essere anche visto come un segnale di qualcosa che è ormai davvero sulla bocca di tutti. Questo, di per sé, non significa però che sul tema si faccia buona informazione. E questo, soprattutto in Italia, accade per alcune tare proprie del nostro sistema informativo.

A questi termini, infatti, spesso seguono anche posizionamenti molto netti: in Italia tutto diventa schieramento immediato, vero o di facciata non importa, e tutto diventa polarizzato. E a quel punto, quando il tema è deragliato ormai nell’opinione, dell’origine dei discorsi quasi non ci si ricorda più. Ed è un male: perché nel resto del mondo se ne parla eccome. Alcuni giornali come il The Guardian, ad esempio, hanno completamente cambiato la propria organizzazione dei contenuti per dare ampio spazio, in modo quasi sempre molto qualitativo, informando anziché offrendo solo opinioni e commenti, a questo tema. E più in generale nel mondo, Italia compresa, al riguardo si prendono anche decisioni molto importanti, che impatteranno sul futuro di ognuno di noi anche a breve.

In alcune parti del globo decisioni intorno alla transizione energetica sono già state prese anni fa; poi c’è chi prova a scappare come un ciclista in fuga all’inizio della salita, chi rincorre, chi torna sui suoi passi, chi lancia proclami, chi osserva e basta. Perché c’è una cosa che non sfugge agli osservatori attenti, proprio come scrive Marco Dell’Aguzzo in questo libro: «la transizione energetica ha molto più a vedere con la leadership mondiale che con il riscaldamento globale».

E questa fase che stiamo vivendo e che questo libro cattura con tutte le qualità che servono in questo caso – precisione, rigore, collegamenti tra fatti apparentemente distanti, analisi dettagliata del presente – non è iniziata adesso, anzi. Prendiamo la Cina, una delle protagoniste di questo libro. Mi ha sempre colpito molto la storia di Wan Gang, nato nel 1952, anni ‘60 trascorsi in un remoto villaggio al confine con la Corea del nord per scontare, a sedici anni, i dettami della Rivoluzione culturale voluta da Mao Zedong. Lì, racconterà anni dopo, Wan aveva trascorso il suo tempo aggiustando trattori e costruendo da zero la rete elettrica del villaggio. Un mezzo di trasporto ed energia: sembra un viatico e infatti lo è. Perché Wan riesce a diplomarsi, si laurea nel 1991 e ottiene un dottorato in ingegneria meccanica presso la Clausthal University of Technology in Germania. Dall’università all’Audi, il passo è brevissimo, rapito e fatale. Un giorno alla fabbrica dove lavora arriva una delegazione di funzionari cinesi. Tra i delegati cinesi c’è anche Zhu Lilan, la prima ministra della scienza e tecnologia in Cina, un ministero nato da poco proprio in quegli anni. Wan approfitta della situazione per spiegare a Zhu una sua teoria che in breve potremmo riassumere così: è inutile, disse Wan, che la Cina nell’industria automobilistica provi a inseguire i risultati dei grandi produttori occidentali e giapponesi. Bisogna pensare a un’altra strada, che avrebbe permesso anche di affrontare l’inquinamento delle città cinesi: cioè le auto elettriche. Zhu è una ministra sveglia e mette Wan a capo del progetto sul veicolo elettrico all’interno del programma di rinnovamento del settore scientifico cinese partito nel 1986. La rivoluzione elettrica cinese ha inizio proprio in questi anni e costituisce un’altra risposta alla sorpresa di ritrovare la Cina al vertice di alcuni settori tecnologici che oggi trainano l’economia: tutto nasce negli anni ‘90, è un cammino lungo tortuoso, a tratti esaltante, ma soprattutto non improvvisato.

Questa storia è solo un piccolo esempio del mondo in cui viviamo, un mondo nel quale per comprendere quanto sta avvenendo non basta attenersi ai fatti contemporanei. È necessario scavare nel recente passato e – proprio come fa Dell’Aguzzo – anche sporcarsi le mani. Non si possono comprendere le esigenze delle nostre attuali società senza capire un minimo quali sono i protagonisti geopolitici e quelli poi specifici: i materiali, il loro funzionamento, il loro impatto, la loro estrazione, la loro lavorazione, i costi, i processi, il lavoro, i piani dei governi, i costi, le resistenze, la comunicazione. Questo libro unisce tutti i puntini e ci ricorda una cosa importantissima: non esistono scorciatoie. Né per gli stati, né per noi che ci ritroviamo in balia di tante propagande ma abbiamo come compito primario quello di informarci nel modo migliore possibile, cercando le informazioni corrette, realistiche, senza “commenti” a nasconderci la reale portata degli eventi. E questo libro lo fa.

Tra le tante cose che troverete e tra i tanti pregi, a mio avviso, del libro di Marco Dell’Aguzzo ne segnalo due: in primo luogo la semplicità di esporre processi complicatissimi. Leggerete di materiali, di produzione industriale, di strategie geopolitiche in modo molto chiaro e senza giudizi di valore, a ricordarci che stiamo parlando di un tema complicato ma che può essere presentato in modo semplice a tutti, senza perdersi in sofismi o nei tanti addentellati teorici che il tema richiama. Il secondo grande pregio è quello di fotografare un momento che sta avvenendo in modo convincente e il più “fermo” possibile. Dobbiamo immaginarci il mondo attuale come se fosse una lunga pista con tre attori principali ai nastri di partenza: Stati Uniti, Europa e Cina. Non tutti partono, in realtà, dalla stessa posizione ma la competizione vera è questa. E transizione significa proprio passaggio, attraversamento o, come specifica la Treccani, «una fase intermedia del processo, nella quale si altera la condizione, per lo più di approssimativo equilibrio, che si aveva nella fase iniziale, e che dà luogo poi a una nuova condizione di equilibrio». Alterare non significa eliminare, significa passare a una nuova condizione di equilibrio, appunto; non significa che quanto c’era prima è completamente da cancellare, tanto più quando si parla di transizione energetica (e questo non significa nemmeno che tutto quello che già c’è vada bene: significa che non possiamo annullare anni di storia all’improvviso, ma che con questa storia è necessario conviverci, analizzarla e provare a superarla). Ecco, di questo dobbiamo parlare: come cambiare, senza pensare che il cambiamento possa avvenire con un battito di ciglia. E questo libro ci ricorda quanto sia sempre complicato, difficile, cambiare. Anche quando a detta di tutti, e io ne sono profondamente convinto, bisogna assolutamente farlo.

(“Power. Tecnologia e geopolitica nella transizione energetica” esce il 1 marzo ma si può pre-ordinare su Amazon, in libreria e negli store online di Mondadori, Feltrinelli e non solo)

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