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Petrolio

Vi spiego le vere ragioni dei tagli Opec+ al petrolio

L'aumento dei prezzi del petrolio è colpa della finanza o della politica? L'articolo di Massimo Nicolazzi, docente di Economia delle risorse energetiche all’Università di Torino, per Rivista Energia.

È domenica (2 aprile) e, a mercati rigorosamente chiusi, OPEC annuncia un taglio della produzione per il resto del 2023 cui i sauditi contribuiscono con oltre un milione di barili/giorno. I russi di loro ne avevano già tagliati 500.000 (loro dicono volontariamente) e aumentano ancora. Complessivamente il taglio OPEC+ è fissato a 3,66 milioni di b/g. Lunedì 3 i mercati riaprono e in un giorno WTI e Brent aumentano di botto (oltre il 6%). Magari non panico però immediata grossa preoccupazione a mezzo stampa. Di seguito quel che avete probabilmente letto.

Gli americani non possono compensare perché si sono bevuti un po’ delle loro riserve strategiche e lo shale per ragioni essenzialmente di credito non tira più come una volta (verissimo). La spare capacity è ai minimi storici onde neanche da lì si può attingere (sicuramente vero per quanto riguarda le scorte americane che a cushing sono al minimo da gennaio ma meno per il resto dei Paesi OCSE). Il botto del primo giorno è quindi solo l’inizio, Goldman Sachs ha aggiornato la sua previsione di prezzo a 95 dollari/barile, ma può salire oltre e l’inflazione che ne sarà indotta ci seppellirà. Su questa previsione vedremo, ma al momento non pare siamo di fronte a un dramma imminente e nelle versioni estreme sembra comunque una visione esagerata. L’intensità petrolifera, e dunque il volume di petrolio necessario per produrre una unità di Pil, non è più quella della crisi del 1973 e minor intensità significa minor impatto inflattivo dell’aumento. Per meglio capire cosa è successo vediamo la sequenza dei prezzi (riferita al WTI).

ALTI E BASSI DEI PREZZI DEL PETROLIO

A novembre 2022 il WTI aveva ancora segnato 92 dollari/barile. Poi una serie di alti e bassi tra 70 e 80, e infine marzo 2023 con la volatilità del clima che si fa volatilità di prezzo. Il 6 siamo vicini a 79 dollari/barile, il 17 a 67, e il 31 quasi a 77. Il 31 è l’ultimo giorno di mercato prima dell’annuncio dei tagli OPEC. E il 3, alla riapertura, siamo in un solo giorno quasi a 82. Si è trattato però della performance di un giorno. La risalita si è fermata e ha fatto seguito una settimana di calma (relativamente) piatta. A cavallo tra l’11 e il 12 aprile scende addirittura sotto gli 80 e poi però il 12 sale verticalmente e supera gli 83,5 che è comunque meno di 2 dollari in più dei massimi di dieci giorni prima. Tanto tuonò, verrebbe da dire, che (per ora) quasi non piovve.

Proviamo a ricostruire. I 67 dollari del 17 aprile ben rappresentano un mercato molto orso e con gli operatori molto short. Timore di crisi bancaria, minaccia di recessione e quant’altro. Se le cose stanno così il prezzo non può che scendere e io (chiamatemi, se volete, speculatore) vendo allo scoperto e poi approfitto della discesa. Il 31 quasi a 77 vi indica che il mercato si va autocorreggendo. La situazione, ragiona l’operatore, è forse grave ma non pare immediatamente drammatica e dunque andiamoci a ricoprire ed eliminiamo, o almeno riduciamo, le posizioni short (qui una puntuale ricostruzione anche grafica).

Gli operatori erano già in accelerata ricopertura e il taglio OPEC lì mette il turbo. In sé e per sé è giusto un monito (e duro) ai ribassisti prossimi venturi. OPEC+ conferma che da quando è “plus” (e dunque concerta con la Russia) è in grado di difendere i prezzi e non solo i volumi. Il segnale è forte e chiaro.  Contro OPEC+ non si può scommettere e a mettersi short ci si può scottare.

GLI OBIETTIVI ECONOMICI DEI SAUDITI

Dicono che però il taglio avrà implicazioni politiche, che è insieme uno sgarbo agli americani e una strizzata d’occhio ai russi. Sarà anche, purché non scambiamo (possibili) effetti collaterali di una decisione anzitutto commerciale (o se preferite finanziaria) con il frutto di una presa di posizione strettamente politica. Il saudita è bravissimo commerciante dei suoi averi e, come tutti quelli che dipendono dalla rendita petrolifera per il proprio benessere, lavora anzitutto alla difesa della propria rendita. La distanza politica si annulla davanti al comune interesse. Quando si riaprì il dialogo politicamente, dalla Siria al Libano all’Iran e quant’altro, sauditi e russi non erano d’accordo su niente. Però c’era il Covid, e il barile era andato sottozero, e insomma lasciamo fuori la grande politique e quant’altro e troviamoci una stanzetta dove si parli solo di prezzi e di volumi. Trovarono la stanzetta, e nacque OPEC+.

In punto economico poi le implicazioni del taglio non sembrano per ora granché. Il prezzo si piazza sopra gli 80 dollari, si è però visto ben di peggio e la maggior parte degli analisti tende a concludere che, se si resta sotto i 100, gli effetti sul nostro tentativo di ridurre la spinta inflazionistica dovrebbero essere relativamente tenui. Allo stato attuale, considerando che è stato tolto dal mercato un 3,7% del prodotto (e non vi paia poco), forse più che preoccuparci per quanto è cresciuto dovremmo sorprenderci per quanto non è (ancora) cresciuto. Che ci dice che oggi (e insisto oggi) il mercato non è corto (tecnicamente è addirittura in backwardation, col petrolio di domani che costa meno di quello di oggi) e che per incertezze su crescita, inflazione e credito in realtà anche col taglio l’offerta resta tendenzialmente eccedente rispetto alla domanda. Una settimana di prezzo costante post taglio ci testimonia la debolezza del mercato.

Ci mettiamo perciò tranquilli? Meglio di no. Il taglio può in effetti avere conseguenze serie a scoppio ritardato. E se vi viene di interrogarvi sul movente cherchez la Chine.

COSA FA LA CINA

Dal 2011 al 2021 il tasso di crescita annuo dei consumi petroliferi cinesi si è attestato al 5,2 % (in Europa siamo al -1,1%), con progressivo avvicinamento agli Stati Uniti in termini di quota dei consumi mondiali (i cinesi sono sopra il 16% e gli americani sopra il 20%, ma il CAGR americano nel decennio è stato solo dello 0,5%).

Nel 2022 rispetto al 2021 i consumi cinesi anno su anno sono diminuiti (del 3%) e questo dopo che dal 1990 la crescita annuale era stata ininterrotta. La previsione 2023 sembrerebbe però vicina ai fasti del passato. L’ultimo Oil Market Report dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA)  ci proietta per il 2023 un aumento dei consumi mondiali a 102 milioni di b/g (nuovo record di sempre nonostante la decarbonizzazione): rispetto al 2022 due milioni di aumento medio e 710.000 b/g di aumento cinese. Con il caveat però che per ragioni stagionali (la driving season, il picco dei consumi coincidente con le vacanze estive automobilistiche delle famiglie americane) e di tempi della ripresa cinese, l’aumento della domanda si concentrerà soprattutto nel secondo semestre. I consumi mondiali sono infatti aumentati di “soli” 700 mila b/g nel primo trimestre e sono invece proiettati in crescita di 2,6 milioni di barili nell’ultimo.

Donde due indicazioni. La prima è che l’andamento della domanda dovremmo seguirlo almeno con la stessa attenzione con cui seguiamo quello della produzione. So che i consumi annoiano e che la produzione è una scusa per divertirsi a parlare di politica però dobbiamo cominciare a fare i conti col fatto che ulteriori accelerazioni dell’elettrificazione della mobilità cinese rischiano in prospettiva di avere effetti sul prezzo anche più rilevanti di quelli di un qualunque accordo russo-saudita.

La seconda però è che se è vero che la sostituzione dei prodotti petroliferi come fonti della mobilità giocherà un ruolo sempre più importante negli scenari futuri, per adesso ci tocca miopemente di fare i conti col 2023. Laddove, se le proiezioni IEA fossero confermate, il rischio che un mercato debole si giri (anche) grazie al taglio in mercato corto rischia di farsi certezza. E dunque ricordiamoci che adesso che OPEC+ difende i prezzi chi è short è comunque a rischio; e anche in considerazione del fatto che potremmo essere alla soglia di un’accelerazione dei consumi teniamoci belli allineati e soprattutto coperti.

IL RAPPORTO DELL’FMI SULL’INFLAZIONE

Parlando del 12 aprile è singolare che senza eventi clamorosi come il taglio di OPEC+ il prezzo in poche ore sia salito del 2,5 %. Time will tell se ripartirà per i 100 dollari oppure no. Oggi che è il 13 sembra peraltro essersi fermato e naviga intorno agli 83 dollari/barile. Divertitevi voi con le spiegazioni.

Non sarà a questi fini influente, ma in contemporanea al balzo è uscito un rapporto del Fondo Monetario Internazionale che ci annuncia inflazione peggiore e più nefasta del previsto. Dovrebbe far inclinare al ribasso. Se non fosse che stiamo parlando (solo) di Occidente; e che, quanto alla Cina, quasi con un inciso il rapporto ci annuncia invece che l’obiettivo di crescita del 5,2% per il 2023 dovrebbe essere senz’altro raggiunto.

La Cina che cresce e il prezzo che sale. Chiamatela pure, se volete, correlazione spuria.

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