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Petrolio, che cosa succede allo shale Usa

Shale Usa: il punto della situazione

Dopo aver tagliato i piani di investimento per il 2020 e ridotto il numero degli impianti in funzione, i perforatori shale americani non sono ancora pronti a tornare alla condizione di crescita precedente alla crisi innescata dal coronavirus e dai bassi prezzi del petrolio. Il greggio è ancora a un livello troppo basso costringendoli a rimanere in modalità sopravvivenza.

L’EFFETTO DEI BASSI PREZZI

I produttori shale, per il momento, stanno cedendo ai bassi prezzi del petrolio e agli investitori preoccupati, e si stanno impegnando a mantenere al massimo la produzione stabile, ha riferito Bloomberg citando gli aggiornamenti di molti dei maggiori perforatori negli Stati Uniti.

Una crescita modesta della produzione è il massimo che ognuno di questi produttori può offrire ai propri azionisti, con alcuni che riducono addirittura le loro precedenti indicazioni di produzione per quest’anno e rifiutano di fornire qualsiasi aggiornamento nel 2021.

IL PEGGIO ALLE SPALLE?

Secondo quanto si legge su Axios, tuttavia, il peggio sarebbe alle spalle apparentemente anche se è difficile prevedere come andranno le cose in futuro. Per ora, la leggera crescita di prezzi del Wti americano a 43 dollari, il massimo da marzo, sta mitigando gli effetti negativi sul settore ma rimane ancora troppo basso per molti produttori, anche se si tratta di un aspetto che dipende da azienda ad azienda.

IL PUNTO DI SVOLTA A 50 DOLLARI

Gli analisti HSBC, in una nota di questa settimana, hanno detto che 50 dollari sono un punto chiave del prezzo. “L’attuale contesto dei prezzi sta portando ad una ripresa della produzione, ma non è abbastanza alto da stimolare una significativa ripresa delle nuove attività nella maggior parte della superficie shale degli Stati Uniti”, hanno osservato.

Per questo, “i più prolifici trivellatori americani di shale stanno accettando un destino che una volta era un anatema per un’industria ossessionata dalla crescita: Trivellare solo per evitare cali di produzione”, ha riferito Bloomberg.

NUBI FOSCHE ALL’ORIZZONTE

In ogni caso, malgrado alcuni pozzi chiusi stiano tornando in attività, si prevede che la produzione totale degli Stati Uniti rimanga per un bel po’ di tempo ben al di sotto dei picchi pre-pandemici. La nota di HSBC vede solo una “spinta temporanea” e prevede che “altri cali stiano per arrivare” a causa del basso numero di perforazioni. In sostanza ci sarà un aumento della produzione potenziale questo mese e il prossimo, ma poi “il suo periodo di crescita sarà di breve durata e non sarà in grado di compensare a lungo il crollo dell’attività dei giacimenti petroliferi”.

Il presidente della Fed di Dallas Robert Kaplan, in un’intervista a Bloomberg TV questa settimana, ha sottolineato che la ripresa della domanda di petrolio si è “arrestata” con la crescita dei casi COVID-19. “Penso che ci vorrà fino alla metà del 2021 per smaltire l’eccesso di scorte di petrolio. Avrete un’industria energetica e un mercato petrolifero molto impegnativo, probabilmente per i prossimi 6-12 mesi, a seconda di come procede il virus e di come la domanda si riprenderà”

TRIMESTRALI IN NEGATIVO

L’ultimo round di trimestrali delle aziende del settore, d’altronde, ha fornito un quadro chiaro di come le compagnia stanno affrontando la pandemia e il suo retaggio finanziario. Il grande produttore statunitense Pioneer Natural Resources ha registrato una perdita netta di 439 milioni di dollari che riflette il crollo dei prezzi, ma anche, come osserva Reuters, tagli alla spesa che hanno contribuito ad “attutire il colpo”.
Un altro grande produttore, Devon Energy, ha registrato una perdita netta di 670 milioni di dollari e ulteriori tagli alla spesa.

“Nella prima metà dell’anno, 23 compagnie di shale oil negli Stati Uniti hanno presentato istanza di fallimento, con un debito di oltre 30 miliardi dollari. E più il debito maturerà nei prossimi due anni, più ci saranno fallimenti. Coloro che sopravvivranno dovranno avere un modello finanziariamente più sostenibile dopo aver bruciato miliardi di contanti al solo scopo di aumentare la produzione fino al picco record della scorsa primavera”, si legge su Oilprice.

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