Ieri sera alla Mansion House nella City di Londra, Boris Johnson ha ripreso in mano il pallino dell’agenda politica britannica. Pallino che gli stava clamorosamente scivolando dalle mani dopo il caso Paterson e le accuse di “sleaze”, corruzione, sollevate nei confronti del suo partito. Johnson si è soffermato sulla politica estera del Regno Unito, sulla Global Britain che sta cercando di plasmare dopo l’uscita del paese dall’Unione Europea e dopo la conclusione della COP26 di Glasgow, evento vetrina del nuovo corso.
L’occasione però è stata propizia anche per affrontare i temi più scottanti dell’attualità politica internazionale, a partire dalla crisi tra al confine tra Polonia e Bielorussia. Johnson ha sottolineato come Londra sia al fianco di Varsavia in questa vicenda, e che i soldati della Royal Army stanno effettuando operazioni di ricognizione al confine tra le due nazioni da giovedì scorso. Una scelta di campo che va a rafforzare la partnership tra Uk e Polonia in un momento in cui Bruxelles, aldilà delle parole e delle sanzioni, non può esibire un aiuto concreto sul campo. Il ministero della Difesa britannico ha affermato che la missione è incentrata solo sul “supporto tecnico per affrontare la situazione in corso al confine con la Bielorussia” e gli addetti ai lavori hanno affermato che non vi era alcun piano aggiuntivo per le truppe britanniche per sorvegliare il confine. Fonti di Whitehall hanno affermato che era opportuno considerare di aiutare la Polonia dato che “è la Bielorussia che sta spingendo i migranti verso il confine”.
Sulla vicenda Johnson ha voluto inserire anche il rapporto con la Russia e ha invitato l’Europa a essere più dura con Putin. Secondo il premier britannico, Bruxelles sarebbe offuscata nel suo giudizio su Mosca dalle forniture di gas e non dovrebbe dipendere così tanto dagli idrocarburi russi anche nel giudizio sulle crisi geopolitiche che hanno sconvolto il confine russo-ucraino negli ultimi anni. Londra ha ribadito il sostegno politico ed economico a Kiev, un sostegno rafforzato sia dall’accordo di libero scambio e partnership strategica firmato nel novembre 2020 tra Johnson e il Presidente ucraino Zelensky, sia dagli incontri bilaterali tra i due. “Quando diciamo che sosteniamo la sovranità e l’integrità del territorio ucraino lo diciamo non in funzione anti-russa ma per ribadire il nostro impegno per la libertà e la democrazia”, ha detto il premier britannico.
In particolare, Johnson sembra aver voluto sferzare l’alleato tedesco sul caso Russia, che nel futuro dovranno scegliere tra il gas russo o il sostegno alla pace e alla cooperazione tra nazioni. Il riferimento al Nord Stream 2, osteggiato anche da Washington, è evidente.
La politica europea del Regno Unito sembra quindi guardare a est e a quelle nazioni che più da vicino sentono la minaccia russa sul collo. Un ulteriore fattore di destabilizzazione per Bruxelles, incapace di garantire militarmente la pace e il benessere delle nazioni assorbite con l’ingresso nel 2004 e nel 2007. Un allargamento che Londra volle fortissimamente – anche per complicare il funzionamento già farraginoso delle istituzioni bruxellesi – e che la mette a ruota di Washington nel sostegno a un est europeo che guarda più all’atlantismo che non all’europeismo.