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Perché il conflitto tra Azerbaigian e Armenia non gasa l’Italia? Report Cer

Secondo un report del Cer “è senza dubbio nell’interesse dell’Italia promuovere una forte azione diplomatica a sostegno della de-escalation dello scontro in atto” per gli interessi nelle forniture di gas provenienti dall'Azerbaigian. Fatti, numeri e analisi del rapporto curato dall'analista Floros

 

Nonostante un cessate il fuoco concordato nel fine settimana, i combattimenti nella zona contesa del Nagorno-Karabakh tra Azerbaigian e Armenia sono continuati e centinaia di persone sono morte. “Il primo ministro armeno ha detto che non esiste una soluzione diplomatica ‘in questa fase’ alla questione del Karabakh. L’enclave è internazionalmente riconosciuta come parte dell’Azerbaigian ma è sotto il controllo armeno”, sottolinea la Bbc spiegando che il conflitto che imperversa da settimane nella regione ha alimentato anche la diffusione di contenuti fuorvianti sui social media. Della situazione nella regione è interessata anche l’Italia che vedrà, a breve, arrivare in Puglia il primo gas prodotto nella zona, attraverso il cosiddetto Corridoio meridionale del gas.

Ad analizzare le potenziali implicazioni energetiche riguardanti l’Italia e l’Unione Europea che potrebbero derivare da una escalation militare tra le due ex Repubbliche Sovietiche è l’ultimo report del Cer, il Centro Europa Ricerche, a cura di Demostenes Floros.

LE RISERVE DELL’AZERBAIGIAN

“Secondo i dati forniti dal BP Statistical Review of World Energy 2020, alla fine del 2019, l’Azerbaijan possedeva riserve pari a 2,8 Tm3 di gas naturale, l’1,4% delle riserve globali, in aumento rispetto ai 2,1 Tm3 stimati nel 2018 e a 1 Tm3 nel 2009. Nel 2019, l’Azerbaijan ha prodotto 24,3 Gm3 di gas naturale, lo 0,6% dell’output mondiale, in crescita rispetto ai 19 Gm3 estratti l’anno precedente (+27,7%) e ai 15,9 Gm3 nel 2009 (+52,8%). Parallelamente, i consumi azeri di gas sono cresciuti dagli 8,6 Gm3 nel 2009, ai 10,8 Gm3 nel 2018, fino agli 11,8 Gm3 nel 2019 – si legge nel report -. Il rapporto tra le riserve gasifere azere rimanenti alla fine del 2019 (R) e la produzione di metano azera nel 2019 (P) è quindi pari a 117. Nel 2019, l’Ue ha prodotto 101 Gm3 di gas naturale a fronte di consumi pari a 469,6 Gm3 che raggiungono i 518,1 Gm3 sommando Turchia, Svizzera e Serbia”.

L’Italia, evidenzia un grafico del Cer, nel 2019 ha consumato 62 Mtep di gas naturale pari al 38% del totale, mentre i fornitori sono stati principalmente la Russia (40%), il Qatar (19%), il Nord Europa (Olanda e Norvegia per il 15%), l’Algeria (14%), la Libia (7%), a fronte di una produzione domestica pari al 6%.

LE FORNITURE AZERE

“Le forniture di gas naturale provenienti dall’Azerbaijan attraverso il cosiddetto Corridoio Meridionale consentiranno l’aggiunta di una fonte supplementare stimata in circa 16-18 Gm3 all’anno, contribuendo alla diversificazione dei fornitori dell’Italia e, seppur in misura alquanto minore, dell’Unione Europea, ma non solo. In particolare, per l’Italia si tratterebbe di rimpiazzare parte del gas libico mentre la Grecia e specialmente la Turchia darebbero inizio ad una parziale diversificazione dalla fonte di approvvigionamento russa”, spiegano gli analisti del Cer.

LA DIVERSIFICAZIONE DELLE FORNITURE E IL RUOLO DI TAP

Per Corridoio Meridionale si intende la somma di tre gasdotti: il South Caucasus Pipeline (SCP) di cui si sta predisponendo l’upgrade (aggiornamento), il Trans Anatolian Pipeline3 (TANAP) inaugurato il 19 giugno 2018 e il Trans Adriatic Pipeline (TAP) in via di completamento entro la fine del 2020.

“Nello specifico – si legge nel report del Cer – l’intera infrastruttura inizia il suo percorso dai siti azeri off-shore di Shah Deniz-2 nel Mar Caspio, attraversa parte della Georgia (SCP) e percorre tutto il territorio turco fino a Edirne (TANAP), passando per la Grecia e l’Albania, per terminare in Puglia (TAP)”. Per l’Italia, “la TAP non rappresenta solamente un’opportunità di diversificazione dei fornitori, bensì anche un’opportunità di investimento come emerge chiaramente dalla composizione azionaria del capitale del gasdotto: l’italiana Snam (20%), l’inglese BP (20%) l’azera SOCAR (20%), la belga Fluxys (19%), la spagnola Enagás (16%), la svizzera Axpo (5%). Non sarà secondario evidenziare che Cassa Depositi e Prestiti Reti, a sua volta controllata del Ministero dell’Economia e delle Finanze (80,1%), è il principale azionista della Snam (28,98%)”.

IL PROBLEMA NON È DIMINUIRE LA DIPENDENZA DEL GAS RUSSO MA TROVARE FONTI ADDIZIONALI

“E’ importante non sovradimensionare il contributo gasiero di Bakù. Alcune delle élite di Bruxelles infatti hanno ritenuto che fosse possibile sostituire, anche solo parzialmente, le forniture russe con quelle azere sulla scia di affermazioni – a dir poco dubbiose – come quella dell’ex Commissario per l’energia Günther Oettinger in merito alla Trans Adriatic Pipeline, secondo il quale ‘si sono poste le basi per progetti ancora più ambiziosi; con un futuro allargamento, il Corridoio avrà il potenziale per soddisfare fino al 20% del fabbisogno europeo di gas’. Quand’anche si realizzasse l’ipotizzato raddoppio della capacità di trasporto (expansion capacity) – ipotesi estremamente complicata dati i limiti dell’output di Baku, nonché le possibili interruzioni estrattive dovute alle complicatissime condizioni geologiche del giacimento Shah Deniz-2 (a meno che non si pensi di convogliare gas russo nel medesimo tubo, ipotesi plausibile) – esso non cambierebbe comunque la geografia dell’approvvigionamento europeo”, ammette CER. Secondo gli analisti del Centro Europa Ricerche infatti “il problema non è, come troppo spesso si ritiene in sede Ue, come cercare di diminuire la dipendenza europea dal gas russo, bensì come trovare nuove fonti addizionali, mantenendo sostanzialmente inalterato l’ammontare di gas russo importato. Viceversa, se non si trovasse un’alternativa agli attuali fornitori in declino, il rischio che la dipendenza europea dal gas russo aumenti diverrebbe alquanto concreta, superata la crisi da covid-19”.

L’ITALIA DOVREBBE PROMUOVERE UNA FORTE AZIONE DIPLOMATICA

“Premesso che il Corridoio Meridionale non attraversa il territorio del Nagorno-Karabakh e che nessun gasdotto azero è mai stato preso di mira dalle forze militari dell’Armenia negli ultimi 20 anni, come ha avuto modo di dichiarare il Presidente armeno, Armen Sarkissian, il 12 ottobre, un’escalation del conflitto potrebbe in realtà trasformare la pipeline in un facile obiettivo – osserva il Cer -. Nonostante il Corridoio Meridionale non sia ancora in funzione, bensì prossimo ai nastri di partenza, è senza dubbio nell’interesse dell’Italia promuovere una forte azione diplomatica a sostegno della de-escalation dello scontro in atto. Quest’ultima, affinché sia realmente efficace, deve potersi coniugare con le politiche energetiche in via di implementazione nel nostro Paese”.

IL NODO DEL PNIEC

“Il 21 gennaio, l’attuale governo italiano ha presentato il Piano Energia e Clima 2030 – ricorda il report del Cer curato da Floros -. Questo strumento fondamentale per cambiare la politica energetica e ambientale del nostro Paese verso la decarbonizzazione pone l’obiettivo – teoricamente raggiungibile – dell’uso delle rinnovabili (con l’aggiunta dell’idroelettrico) al 30% del paniere energetico dell’Italia entro il 2030, nonché la contemporanea significativa riduzione dei consumi di energia primaria totale. Ciò, indica il Piano, sarebbe possibile facendo forte leva sul gas naturale dal momento che soprattutto il consumo di petrolio, ma anche quello del carbone, dovranno diminuire in maniera significativa. L’impressione però è che il Piano Energia e Clima 2030 presenti almeno due limiti – si legge nel report -. In primo luogo, esso non definisce i costi – senza dubbio, imponenti – necessari per raggiungere un uso così massiccio delle rinnovabili. In secondo luogo, l’approvvigionamento gasiero dello Stivale farebbe eccessivo affidamento al gasdotto TAP (è un azzardo considerare il raddoppio della capacità di trasporto di quest’ultimo come cosa certa) e al GNL-Gas Naturale Liquefatto di probabile, ma non precisata, provenienza qatariota e/o statunitense (comunque, più costoso del gas via tubo), senza tenere conto degli scenari geopolitici direttamente e/o indirettamente connessi alla sicurezza energetica dell’Italia. Nonostante la domanda globale di gas naturale sia prevista in calo del 3% nel 2020 (-120 Gm3)3, il conflitto in Caucaso è un’occasione per un’analisi aggiornata e integrale”.

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