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Da dove arriva l’elettricità per “minare” i Bitcoin?

L'estrazione (o mining) di Bitcoin consuma moltissima energia, che spesso proviene da fonti fossili. Cosa dice lo studio di Visual Capitalist.

I minatori di Bitcoin utilizzano circa 348 terawattora di elettricità all’anno e, con il mondo che passa sempre più alle energie rinnovabili, alcuni si pongono la domanda: da dove prende l’elettricità Bitcoin? Per rispondere a questa domanda, Chris Deckert di Visual Capitalist ha collaborato con HIVE Digital per esaminare il mix elettrico della rete Bitcoin analizzando i dati del Cambridge Centre for Alternative Finance e del think tank energetico Ember.

I PAESI ESTRATTORI DI BITCOIN

I primi 10 Paesi per il mining di Bitcoin rappresentano il 93,8% dell’intera rete in termini di hashrate, una misura della potenza computazionale, con Stati Uniti, Cina e Kazakistan che rappresentano i primi tre della lista. Insieme, questi 3 Stati alla fine del 2021 ospitavano quasi i tre quarti della rete globale.

La Cina era al primo posto per il mining di Bitcoin, fino al 75% della capacità globale, ma un giro di vite nell’estate del 2021 ha visto la quota di Pechino scendere a zero in appena un paio di mesi. Molti minatori si sono trasferiti nel vicino Kazakistan, attratti dall’elettricità a basso costo, dalle normative permissive e da un clima politico “stabile”, mentre altri hanno optato per gli Stati Uniti. Una considerevole scena mineraria segreta è emersa anche in Cina, ora che le acque si sono calmate.

In fondo alla top 10 ci sono Irlanda, Singapore e Thailandia, che insieme ospitano il 4,9% della rete. Si ritiene che la quota dichiarata dell’Irlanda – e questo vale anche per la Germania, che si colloca al sesto posto – sia una significativa sovrastima causata dal fatto che i minatori di altri Paesi nascondono la loro vera posizione.

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IL PESO DELLE FONTI RINNOVABILI

Su base nazionale, Stati Uniti, Cina e Kazakistan detenevano rispettivamente quote rinnovabili pari al 22,5%, 30,2% e 11,3%. Per contestualizzare, le energie rinnovabili nel 2022  costituivano il 30% della produzione mondiale di elettricità (escluso il nucleare). La bassa quota di energie rinnovabili del Kazakistan è dovuta alla forte dipendenza dal carbone (60%), che è anche una delle principali esportazioni del Paese dell’Asia centrale. Allo stesso tempo, il carbone contribuisce in misura simile all’elettricità in Cina (61%), ma la quota complessiva di fonti rinnovabili di Pechino è più elevata a causa della grandissima espansione dell’energia eolica e solare.

LA POSIZIONE DEGLI IMPIANTI

Il luogo in cui un minatore di Bitcoin installa il proprio impianto è importante perché, a differenza di molti altri settori – che dispongono di fabbriche o grandi sedi centrali – nel caso delle criptovalute si tratta di una posizione mobile. Il luogo in cui si sceglie di operare si basa su fattori come il regime normativo, il prezzo dell’elettricità e, poiché gli impianti Bitcoin generano molto calore, la temperatura media esterna.

Con il cambiamento climatico che spinge sempre più verso le energie rinnovabili, molti minatori di Bitcoin stanno esaminando più da vicino la provenienza della loro elettricità. Questo potrebbe essere il motivo per cui il Canada, con la sua ampia disponibilità di risorse idroelettriche, ha scalato la classifica da meno dell’1% della rete nel 2019 al 6,5% alla fine del 2021. Considerando, però, che i principali Paesi rinnovabili – come Islanda, Paraguay e Norvegia – insieme ospitano solo poco più dell’1% della rete globale, ci sono ancora molte opportunità di crescita.

(Articolo pubblicato su Energia Oltre)

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