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Come nel Golfo Persico si analizzano le mosse di Eni con Emirati Arabi, Oman e Bahrein

L'articolo di Giusy Caretto

“Mentre Oman, Sharjah e Bahrain sarebbero ben felici di nuove scoperte di giacimenti di petrolio, la priorità di Abu Dhabi e dell’Iraq è di sviluppare ciò che hanno già scoperto e di produrre più gas per le necessità domestiche”. E’ quanto ha scritto su The National Robin M. Mills, ceo di Qamar Energy, società di consulenza specializzata in studi di energia e geopolitica in Medio Oriente e Africa del Nord, dopo gli ultimi accordi siglati dal gruppo Eni nel Golfo Persico.

CHE COSA HA FIRMATO ENI NEGLI EMIRATI ARABI UNITI, IN OMAN E IN BAHRAIN

Eni alla conquista del Medio Oriente: Claudio Descalzi, amministratore delegato della società italiana di Oil&Gas, vorrebbe che nel giro di pochi anni la regione contribuisca al 35% delle sue entrate. Una scommessa non da poco, visti anche i precedenti, ma non impossibile da vincere: quel che è certo è che le ultime mosse di Eni negli Emirati Arabi, in Oman e Bahrein hanno trasformato l’azienda italiana da non competitor ad importante contendente del campionato.

D’altra parte, però, non resta grande spazio per nuovi accordi nella Regione medio-orientale: come affermato da Robin M. Mills, ceo di Qamar Energy, società di consulenza specializzata in studi di energia e geopolitica in Medio Oriente e Africa del Nord, Abu Dhabi ha ancora solo pochi blocchi esplorativi da allocare. Ma andiamo per gradi.

GLI ATTUALI ACCORDI DI ENI NEGLI EMIRATI ARABI

Gli ultimi accordi cambiano completamente la posizione dell’azienda nella Regione. Come scritto da Start Magazine, a metà gennaio Eni, dopo essersi assicurata a novembre l’assegnazione di una quota del 25% nella concessione quarantennale denominata Ghasha (mega progetto a gas situato nell’offshore dell’Emirato di Abu Dhabi), ha siglato diverse intese negli Emirati Arabi Uniti, portando a casa due concessioni con i thailandesi di Pttep (partecipazione del 70% in due concessioni esplorative offshore (Blocco 1 e Blocco) della durata di 35 anni) e l’acquisizione del 20% di Adnoc Refining, il colosso statale degli Emirati, che consentirà al gruppo di aumentare del 35% la sua capacità di raffinazione.

COSA FARA’ ENI IN BAHRAIN, OMAN E SHARJAH

A gennaio 2019, l’azienda ha ottenuto il permesso di esplorazione di un’area offshore ancora in gran parte inesplorata situata nelle acque territoriali settentrionali del Regno di Bahrain, mentre in Oman l’azienda ha siglato un contratto con Ooecp per il Blocco 47 nell’onshore e lavorerà con Bp su un altro blocco. Nell’Emirato di Sharjah, dove oggi sono operativi solo tre piccoli giacimenti di gas condensato, Eni esplorerà alcune aree onshore.

Le grandi aziende cercano un portafoglio bilanciato, redditizio, con un potenziale di crescita, non troppo esposto al rischio politico in una singola regione e in grado di sopravvivere a periodi di bassi prezzi delle materie prime.

L’Eni è sempre stata forte in Nord Africa – Algeria, Libia, Tunisia ed Egitto dove nel 2015 ha scoperto il gigantesco gas di petrolio di Zohr.  è difficilmente presente nello shale americano.

Gli enormi campi della Russia sono per lo più off-limits per le compagnie internazionali, che sono ulteriormente ostacolati dalle sanzioni occidentali. Il Medio Oriente ospita risorse giganti, a basso costo, difensive nei periodi di prezzi bassi, e probabilmente a sostenere l’offerta mondiale futura, anche se la domanda diminuisse.

COSA VOGLIONO OMAN, SHARJAH, BAHREIN ED EMIRATI ARABI

I compiti a cui è chiamata Eni nella Regione, però, sono differenti da emirato ad emirato: “Mentre Oman, Sharjah e Bahrein sarebbero ben felici di nuove scoperte di giacimenti di petrolio, la priorità di Abu Dhabi e dell’Iraq è di sviluppare ciò che hanno già scoperto e di produrre più gas per le necessità domestiche”, ha affermato su The National Robin M. Mills, ceo di Qamar Energy, società di consulenza specializzata in studi di energia e geopolitica in Medio Oriente e Africa del Nord.

GLI OBIETTIVI DI ENI

L’obiettivo del Cane a sei zampe, compiti a parte, come sostiene Mills, è quello di ottenere il 35% delle sue entrate entro cinque-sette anni proprio dalla produzione in Medio Oriente, anche se ancora ben indietro rispetto ai suoi rivali.

Grazie a questi obiettivi, Eni potrà bilanciare il suo portafoglio, contando su una regione in più per renderlo redditizio. D’altronde, Eni è sempre stata forte in Algeria, Libia, Tunisia ed Egitto, dove nel 2015 ha scoperto il gigantesco gas di petrolio di Zohr, ma poco presente in America e assente (come le sue colleghe) in Russia, i cui campi sono off-limits per le compagnie internazionali (a causa anche delle sanzioni).

VERSO LA FINE DEGLI ACCORDI?

Intanto, questa ondata di accordi da parte di Eni in Medio Oriente (che vede anche protagonisti Total e in misura minore BP), potrebbe chiudersi a breve: Abu Dhabi, come spiega Mills, “ha ancora solo pochi blocchi esplorativi da allocare, l’Iran è off limits a causa delle sanzioni americane, mentre l’Arabia Saudita e il Kuwait si affidano interamente alle loro compagnie petrolifere nazionali”. “Le dure condizioni contrattuali dell’Iraq hanno scoraggiato le super-major piuttosto che allettarle ad espandere le loro posizioni esistenti”, aggiunge Mills.

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