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Cina

Come si gasano Russia e Cina sulle materie prime

Rimpiazzare Russia e Ucraina come fornitori di energia, metalli e materie prime siderurgiche è pressoché impossibile. L'analisi di Gianclaudio Torlizzi, fondatore di T-Commodity.

Drammatica, feroce. Inaspettata. L’aggressione russa ai danni dell’Ucraina ha rappresentato per l’Occidente un vero e proprio shock. Convinta che Vladimir Putin non avrebbe mai superato il Rubicone del confine ucraino, la maggior parte degli specialisti di analisi geostrategica ha dovuto fare i conti con una dinamica esclusa da qualsiasi scenario di rischio.  Ci sarà poi il tempo per capire dov’è che molti esperti hanno fallito (non tutti per carità): forse a causa di una forma mentis abituata a decenni di relativa assenza di veri e propri game changer, se si esclude l’avvento della pandemia. Ma ora che l’esercito russo ha invaso un paese sovrano nel cuore dell’Europa, risulta evidente come l’architettura mondiale nata dopo la seconda guerra mondiale e poi riformatasi con il crollo del muro di Berlino appaia destinata a mutare questa volta in senso strutturale.

Innanzitutto che cosa ci insegna l’escalation militare in Ucraina? In primo luogo ciò che già era emerso a partire dalla diffusione del Covid-19, e cioè che sono i paesi che detengono oggi il controllo delle supply chain e delle materie prime ad avere un vantaggio competitivo nei confronti di quelli che invece ne sono privi. La difficoltà che almeno finora hanno impedito all’Occidente di far leva sull’unica arma in grado di mettere ko il governo di Mosca, ossia il bando all’import di gas e petrolio, rappresenta l’evidente conferma del potere contrattuale oggi nelle mani di paesi come la Russia, la Cina tanto per citarne i più importanti. Ciò rappresenta un bello smacco per tutti noi, seduti sulla poltrona di quel falso senso di sicurezza legato alla leadership nel comparto dell’information technology. E invece, come una vera e propria beffa del destino, oggi l’analogico vince sul digitale. Perché si possono avere tutti i miglior calcolatori del mondo: ma se non ti arriva la ghisa e il rottame dall’Ucraina e dalla Russia, perché il passaggio nel Mar Nero è bloccato, oppure perché gli impianto siderurgici nella zona di Mariupol sono sotto bombardamenti, tu come economia ti inchiodi. Hai voglia poi a cercare alternative in Nord Africa, Brasile o addirittura nei paesi dell’ex Jugoslavia. Rimpiazzare Russia e Ucraina come fornitori di energia, metalli e materie prime siderurgiche è pressoché impossibile, mantenendo gli stessi livelli produttivi.

Esiste quindi un gap di percezione nella nostra società che è ben evidente anche nelle reazioni dell’opzione pubblica davanti ai massacri in atto in Ucraina. Generale è la spinta affinché i governi implementino sanzioni sempre più dure nei confronti di Mosca, senza però tenere a mente quelli che saranno i contraccolpi che bisogna essere pronti a subire: inflazione in forte rialzo, perdita del potere di acquisto, stagflazione, razionamenti delle forniture di energia. In sostanza si stanno oggi sviluppando quelle stesse dinamiche a cui abbiamo assistito fino a qualche settimane fa a proposito dello sviluppo del green. Ci è voluta una guerra ora a due passi da casa nostra per riportare tutti alla razionalità e capire che fare affidamento su pale eoliche e pannelli solari per autodeterminarsi sul fronte energetico è a dir poco velleitario. Vi è da dire come un ruolo importante nel creare queste “allucinazioni di massa” sia svolto dai mass media che contribuiscono a sviluppare delle vere proprie campagne mediatiche, isolando chiunque la pensi in maniera diversa.

La perdita del senso critico rappresenta tuttavia un problema per le democrazie occidentali la cui peculiarità rispetto ai regimi autocratici come quello russo o cinese starebbe proprio nella ricchezza del dibattito al loro interno. Ma la domanda ora è: “che fare?” Purtroppo siamo oramai arrivati a un punto in cui è questione di poco tempo prima che l’economia europea inizi a risentire del contraccolpo delle sanzioni che potrebbe diventare ancora più drammatico nel caso in cui Mosca dovesse varare ritorsioni sul fronte dell’offerta di gas e petrolio. La gravità oggi è paragonabile a quella della crisi petrolifera del 1973 in seguito alla guerra dello Yom Kippur. Va evidenziato a tal proposito come Mosca vanti una linea di credito da 150 miliardi di dollari con Pechino firmata nel 2014 e che la banca centrale russa oggi detiene l’equivalete di 90 miliardi di dollari in riserva valutarie presso la People Bank of China. Questo non significa che l’economia russa non risenta delle pesanti sanzioni fino qui applicate, ma ha probabilmente più resilienza di quanto ci si possa aspettare.

Pechino, dal canto suo, sfrutta l’attuale contingenza quanto più possibile, approfittando del congelamento del mercato russo per comprare materie prime a forte sconto rispetto al prezzo di mercato come mostra il differenziale tra Brent e Urals e ampliando così il vantaggio competitivo nei confronti dell’Occidente. Un abbraccio anche opportunistico quello tra Russia e Cina che occorre monitorare con la massima attenzione perché il rischio di un’annessione economica di Pechino sulla Russia rappresenterebbe il peggiore degli scenari possibili per l’Occidente che si ritroverebbe a fare i conti con un paese in controllo del mercato mondiale delle materie prime e delle supply chain. Certo è che anche la Cina potrebbe non vedere di buon occhio il perdurare della guerra in Ucraina per gli effetti che avrebbe sull’export principale fonte di crescita in questi ultimi mesi dopo il giro di vite sul comparto delle costruzioni e del tech. Siamo insomma in una situazione di guerra e pertanto la risposta politica deve essere tale.

Questa presa di coscienza deve ovviamente riguardare il governo italiano che nelle ultime ore sembra un po’ scollato dalla realtà; anziché intavolare negoziazioni con i nostri prossimi fornitori di materie prime (Usa in primis) in vista di uno sganciamento permanente dalle forniture russe si concentra sulla riforma del catasto. La politica invece oggi dovrebbe concentrarsi su poche cose, tra queste la stipula di accordi di fornitura di materie prime a prezzi calmierati. Le logiche di mercato stanno di fatto saltando ed è bene rendersene conto quanto prima. Pensare che l’economia italiana (ed europea) possa sostenere anni di prezzi del comparto energy & commodities ai livelli attuali (protagonisti nei primi due mesi dell’anno del balzo più forte dal 1915) significa sottovalutarne enormemente gli effetti distruttivi sulla nostra economia. Sarà poi fondamentale che anche la BCE si “tari” in modalità bellica, prendendo spunto da come si mosse la Federal Reserve nel corso della seconda guerra mondiale. Il che significa offrire ai governi più colpiti dalla crisi in atto il necessario backstop finanziario per implementare politiche fiscali espansive al fine di dotare il Paese di quella infrastrutturale industriale che nel New Normal che si staglia nei prossimi anni, contraddistinto dall’accorciamento delle catene di fornitura e dalla spaccatura insanabile tra Ovest ed Est, saranno fondamentali.

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