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Ambiente

Perché l’ambiente deve essere un tema centrale per la destra del futuro

"Il fallimento dello sviluppo sostenibile deriva dal fatto che si è prediletto un modello che prende in considerazione soluzioni globali e non nazionali o locali". Pubblichiamo un estratto della conclusione del libro "Conservare la natura" di Francesco Giubilei

 

Negli ultimi anni si è sviluppata in modo esponenziale l’attenzione verso il tema dell’ambiente. Se in linea generale è positiva la sensibilità della politica, dei media e dell’opinione pubblica verso un argomento che, come abbiamo avuto modo di sostenere, sta a cuore a tutti i cittadini, al tempo stesso è necessario evitare l’ideologizzazione della battaglia ambientale.

Pur nella consapevolezza della non esaustività della presente opera, abbiamo cercato di organicizzare e sintetizzare una visione alternativa della battaglia per l’ambiente: quella conservatrice, cristiana, di destra, sottolineando la necessità della conservazione della natura comune a tutte le persone e raccontando, in un momento storico in cui sembra possibile accettare un solo tipo di ambientalismo, come esistano importanti, profonde ed eterogenee visioni a favore della natura, che non per forza sono in linea con quanto promosso dall’ambientalismo globalista.

Dal punto di vista conservatore, è fondamentale porre l’uomo al centro di un ecologismo che non consideri gli esseri umani una minaccia per l’ambiente, bensì una risorsa per conservarlo e tutelarlo. In quest’ottica, la tradizione cattolica che vede l’uomo nato da Dio e posto al centro del Creato con il dovere di conservare e amare la natura, è senza dubbio condivisibile. Al tempo stesso è necessario un ambientalismo che parta dal basso, dalle comunità, piuttosto che da imposizioni dello Stato o, peggio ancora, di entità sovranazionali che intervengono modificando la vita dei cittadini, senza tenere in considerazione usi e costumi dei popoli, tradizioni locali. In poche parole, un ambientalismo globalista che ci vorrebbe tutti uguali dimenticando le identità locali fatte di particolarismi.

Nel momento in cui, giustificandole come una necessità per l’ambiente, vengono introdotte nuove tasse etiche che colpiscono i cittadini (in particolare i ceti più deboli), occorre non lasciarsi ingannare dal tentativo di imporre tasse globali che contribuiscono a limitare le libertà individuali favorendo un controllo scale piuttosto inquietante.

L’introduzione di nuove tasse – in particolare per l’Italia, dove i cittadini sono già colpiti da un’alta pressione scale – non può e non deve essere la soluzione per risolvere i problemi derivati dall’inquinamento. È importante, in primis, un’azione culturale ed educativa che nasca dalle scuole e insegni alle giovani generazioni comportamenti virtuosi e abitudini corrette a partire dai due principali luoghi di educazione e formazione per i giovani: la scuola e la famiglia, non certo dalle piazze. Occorre, però, ragionare con attenzione sulle modalità con cui si parla di ambiente nelle scuole, l’approccio giusto sarebbe quello di evitare ogni genere di influenza ideologica nei confronti degli studenti.

Non bisogna, poi, cadere nella trappola del tutto e subito; in ambito economico è necessario un percorso graduale che tenga in considerazione le esigenze sociali. La sfida del futuro non è solo quella di lottare contro l’inquinamento, quanto modificare i sistemi di produzione e le abitudini “più inquinanti”, senza però portare alla perdita di posti di lavoro o, perlomeno, favorendo una sostituzione occupazionale.

È evidente che l’obiettivo primario della battaglia ambientale sia il bene delle future generazioni, ma ci sono vari modi per raggiungerlo. La visione dei conservatori unisce il passato al presente e al futuro riprendendo la lezione già teorizzata da Edmund Burke poiché, come emerso nelle pagine precedenti, il tema della conservazione della natura è caro al mondo conservatore sin dalle origini. Volendo andare più a ritroso, il rapporto con la natura è centrale nelle civiltà tradizionali, è un elemento imprescindibile per il paganesimo e costituisce già nelle pagine della Bibbia uno dei fondamenti del cristianesimo e del cattolicesimo (con il concetto di Creato).

Eppure, nonostante esista un importante pensiero ambientalista a livello europeo, in Italia l’opinione pubblica ha iniziato a considerarlo un argomento di rilievo solo nel dopoguerra, in particolare dagli anni Settanta in poi. Ciò è avvenuto poiché, prima del boom economico, nel nostro Paese non si era mai vissuto un vero e proprio problema legato all’inquinamento. È interessante ricordare la contrapposizione culturale, collegata a una diversa visione della società, tra il movimento di Strapaese e quello di Stracittà, a metà degli anni Venti del Novecento, che sotto certi punti di vista anticipa la dicotomia tra chi si oppone alla modernità in nome della tutela della natura, di usi, costumi, tradizioni e chi, invece, è favorevole a una crescita industriale e urbana.

Nel dopoguerra, in concomitanza con l’emergere dell’ambientalismo, si sviluppa la necessità di tutelare la natura non solo tra i pensatori di sinistra, ma anche nella destra. Le esperienze delle associazioni ambientaliste che abbiamo ricordato vanno di pari passo con l’elaborazione di un pensiero che, pur essendo ben saldo nel presente e guardando alle future generazioni, affonda le proprie radici nella tradizione culturale che dall’antichità classica, passando per il Romanticismo e arrivando fino al Novecento, dedica alla natura alcune delle pagine più intense e profonde che l’uomo ricordi.

Ma il rapporto tra l’uomo e l’ambiente non può essere compreso senza indagare il carattere sacro e spirituale del mondo naturale, sottolineato già dal paganesimo e affrontato dal cristianesimo e dal cattolicesimo. Un ambientalismo che mette il Creato al centro, considerando l’uomo non un nemico della natura, come vuole l’attuale vulgata, ma come parte integrante di essa.

Questo libro cerca di dimostrare che è possibile un altro ambientalismo che tenga in considerazione le esigenze delle persone: sociali, storiche, culturali, religiose, partendo dal locale, dalle comunità, dai paesi, dai quartieri e rispettando l’identità nazionale. Per i conservatori le nazioni hanno un ruolo preminente rispetto alle entità sovranazionali che favoriscono una visione globalista agli antipodi rispetto alla concezione del mondo e della società conservatrice.

A partire dal necessario contributo del mondo culturale e intellettuale nella costruzione di un pensiero ambientalista alternativo a quello oggi più in voga, è fondamentale che i partiti politici dell’area conservatrice si facciano artefici di alcune delle istanze riassunte in queste pagine, onde evitare che la sinistra si impossessi definitivamente del tema dell’ambiente e che dietro la battaglia ambientalista si nasconda un tentativo di cancellare le identità di popoli e nazioni per favorire una visione globalista della società.

È evidente che la tutela dell’ambiente non rappresenti più solo un argomento etico ma sia diventato a tutti gli effetti politico, nei prossimi anni ogni partito e movimento dovrà avere una propria posizione in merito avanzando proposte credibili, in caso contrario perderà consenso. Ciò vale in particolare per i partiti di massa poiché i principali media, le organizzazioni internazionali e le istituzioni sovranazionali, considerano il tema dell’ambiente centrale, con una copertura mediatica enorme.

Se è giusto accrescere la sensibilità delle persone a favore di comportamenti virtuosi verso la natura, educandole a uno stile di vita che non preveda inutili sprechi o abitudini troppo inquinanti, non è altrettanto corretto utilizzare questi argomenti con finalità ideologiche o politiche. La lotta al cambiamento climatico diventa così il cavallo di Troia per diffondere un’ideologia globalista, antinazionale e smaccatamente secolarizzata. I conservatori e il mondo della destra devono evitare che accada quanto avvenuto nel dopoguerra con la cultura. Tema comune a tutti i cittadini, dal 1968 in poi la sinistra se ne è impossessata attraverso l’applicazione del concetto di egemonia culturale.

Al di là del tentativo di creare un “cordone sanitario” attorno a ogni idea o progetto non ascrivibile alla cultura progressista, al tempo stesso la destra è colpevole di non aver dedicato la dovuta attenzione alla cultura permettendo, nonostante la presenza di pensatori, scrittori e intellettuali di valore nella propria area, che la sinistra diventasse depositaria dei temi culturali. Lo stesso rischia di accadere oggi con l’ambiente, un’evenienza che è necessario evitare se in futuro si vorrà scongiurare sia un tracollo politico sia – cosa ben più grave – un sovvertimento non solo delle abitudini e usanze quotidiane, quanto della nostra cultura e tradizione.

Come in ogni campo di studio, nel mondo della destra si crea una frattura sull’economia dando vita a due approcci opposti ai temi ambientali: da un lato c’è una destra (spesso identificata con quella liberale) favorevole alla crescita economica come obiettivo primario, dall’altro una destra che promuove una “decrescita felice”.

Come si pongono i conservatori in questa divisione? A metà strada, auspicando una terza via basata su crescita e sviluppo sostenibile; il coronavirus ci ha dimostrato che, nel momento in cui avviene una decrescita economica, si genera un impoverimento collettivo con ricadute sociali gravi. Certo, sarebbe del tutto sbagliato paragonare la teoria della decrescita felice a uno shock planetario come una pandemia ma – riferendoci in particolare al contesto italiano – una decrescita per il nostro Paese sarebbe tutt’altro che felice. Di contro, non si può accettare una logica di crescita a tutti i costi che non tenga in considerazione fattori etici e la conservazione della natura. In tal senso, uno sviluppo sostenibile può essere la strada più corretta da adottare coniugando crescita economica ed esigenze ambientali. C’è però una differenza fondamentale nella concezione dei conservatori rispetto agli artefici di uno sviluppo sostenibile di stampo globalista e, come abbiamo visto nel corso del libro, è insita nel rispetto delle identità e delle tradizioni, in una crescita economica che non determini lo sradicamento delle comunità e, anzi, nasca dal locale.

L’ecologismo di stampo conservatore, che si contrappone all’ambientalismo progressista, considera perciò l’uomo parte del Creato e non come un nemico della natura, proponendo una visione del mondo in cui uomo e natura convivono in modo armonioso.

È senza dubbio corretto rifiutare un modello di società basato su uno sviluppo a tutti i costi e solo su criteri di carattere economico, il pensiero conservatore ci insegna che l’economia è uno degli ambiti della vita umana e non può essere assunta come unico presupposto per le nostre scelte. Al tempo stesso, però, se si riescono a coniugare le ragioni economiche a quelle delle comunità e di conseguenza dell’ambiente, sarebbe sbagliato rifiutare una crescita sostenibile.

Oggi, il fallimento dello sviluppo sostenibile deriva dal fatto che si è prediletto un modello che prende in considerazione soluzioni globali e non nazionali o locali. La scelta di un modello globalista ha portato le singole nazioni a non tenere in sufficiente considerazione il tema ambientale e le comunità locali a considerare la conservazione della natura un tema lontano dalle proprie esigenze.

L’unico modo affinché lo sviluppo sostenibile porti a risultati tangibili è che avvenga nell’interesse delle comunità e dei singoli cittadini che si sentono concretamente chiamati in causa. La strada degli accordi globali, che non tengono in considerazione i particolarismi e le identità dei singoli popoli, si è rivelata fallimentare.

Se il principio della crescita a tutti i costi – che mette da parte, oltre alle esigenze ambientali, anche la salute o la sicurezza dei cittadini e dei lavoratori – va rigettato, al tempo stesso opporsi alla crescita economica o a auspicare una decrescita, per quanto la si possa definire felice, rischia di avere conseguenze ed effetti sociali negativi. Diverso è il caso della riconversione, a partire dalla mobilità o dalle fonti energetiche. È però necessario un giusto equilibrio che tenga in considerazione le esigenze sociali, in particolare dei ceti più deboli. La sfida per il futuro sarà esattamente questa, con i piedi ben saldi nel presente e senza dimenticare gli insegnamenti del passato.

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