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La pandemia desertificherà il settore shale?

Svalutazioni degli asset e rischio fallimenti sono sempre più probabili nel settore shale negli Stati Uniti dopo la pandemia Covid-19

 

Il settore shale sta entrando in una fase di grande difficoltà che potrebbe portare ad un “profondo processo di risanamento” del comparto con aziende che si stanno trovando di fronte a centinaia di miliardi di dollari di svalutazioni dei loro asset.

Ad analizzare la situazione è stata Deloitte secondo cui, a partire dal marzo 2020 con l’inizio della pandemia Covid-19, l’offerta e la domanda di petrolio globali sono risultati divergenti in una misura che il mondo non ha mai visto prima.

COSA DICE IL RAPPORTO DELOITTE

Il rapporto Deloitte mostra come la caduta dei prezzi del petrolio dalla pandemia siano destinati a gravare pesantemente sul settore shale, che già prima della crisi era alle prese con debiti e flussi di cassa particolarmente deboli.

“Le difficili condizioni del mercato petrolifero potrebbero spingere l’industria shale a svalutarsi o a svalutare il valore dei propri asset per un valore di circa 300 miliardi di dollari con significative riduzioni di valore previste nel secondo trimestre del 2020”, si legge nel rapporto.

“Le enormi svalutazioni – circa la metà del valore netto degli immobili, impianti e macchinari delle società – aumenterebbero l’effetto leva del settore dal 40% al 54%, innescando insolvenze e ristrutturazioni, afferma lo studio di Deloitte”, secondo quanto riportato dal Financial Times.

RISCHIO FALLIMENTI

Non solo. Il 31% degli operatori del settore shale sono “tecnicamente insolventi” quando il prezzo del petrolio statunitense è a quota 35 dollari al barile, mentre un altro 20% risulta in una situazione di ‘stress’. I prezzi sono attualmente nella fascia dei 39 dollari al barile.

E infatti, si legge in un articolo del Sole 24 Ore, “negli Usa si contano già 18 ricorsi al Chapter 11 quest’anno, con un’accelerazione negli ultimi giorni. E da un momento all’altro alla lista si aggiungerà un nome eccellente, quello di Chesapeake Energy, uno dei pionieri dello shale: la società ha avvertito che presto potrebbe non essere più in grado di proseguire le attività e la settimana scorsa ha mancato il pagamento delle cedole di alcune obbligazioni”.

Queste difficoltà, ha aggiunto ancora il quotidiano di Confindustria, sono doppie per le società shale rispetto alle tradizionali e ciò dipende dal fatto che “utilizzano il petrolio e il gas ancora da estrarre come collaterale a garanzia di prestiti dalle banche: un canale di finanziamento ormai irrinunciabile, poiché per molti il mercato dei capitali si è chiuso completamente. Secondo Moody’s e JpMorgan Chase l’erogazione di questo tipo di crediti si è ridotta del 30% per il settore dopo l’ultima tornata di revisione, avvenuta in primavera. Le banche, che negli Usa ridiscutono ogni sei mesi le linee di credito ai frackers, si erano sempre dimostrate comprensive in passato. Ma stavolta le trattative si sono rivelate spinose, al punto che in qualche caso non si sono ancora concluse, scrive il Wall Street Journal. Molti istituti starebbero anzi cercando di eliminare del tutto l’esposizione al settore”.

SVALUTAZIONI A 38 MLD NEL PRIMO TRIMESTRE DELL’ANNO

“La società di consulenza Rystad Energy ha calcolato che le svalutazioni dei produttori di shale nel primo trimestre sono state di circa 38 miliardi di dollari. Alla fine di maggio, 18 società di esplorazione e produzione avevano dichiarato fallimento quest’anno, secondo Haynes e Boone, uno studio legale. Extraction Oil & Gas con sede a Denver si è recentemente unito all’elenco”, si legge ancora su Ft.

OBIETTIVI PER LA MAJOR

Sempre secondo Deloitte, inoltre, circa il 27% delle compagnie petrolifere e del gas operanti nell’ambito shale rappresentano buoni obiettivi di acquisizione per le major petrolifere e i grandi produttori indipendenti, mentre molte altre sarebbero “superflue”, o troppo rischiose per gli acquirenti.

L’analista di Deloitte, Scott Sanderson, ha affermato in una dichiarazione a corredo del report che il consolidamento “selettivo” può aiutare a posizionare meglio il settore in difficoltà, “soprattutto con il progredire della transizione energetica, gli investimenti nei big data nella digitalizzazione avanzata e nelle misure di sostenibilità possono essere di fondamentale importanza per la sopravvivenza e il successo a lungo termine”.

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