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Carne

La carne divorerà il pianeta?

L’agricoltura intensiva è tra le principali cause della crisi climatica. Il mercato alimentare, in particolare quello della carne, sta iniziando a valutare soluzioni alternative per nutrire il pianeta senza divorarlo. L'analisi di Mayssa Al Midani, Senior Investment Manager e gestore del fondo Pictet – Nutrition di Pictet Asset Management

L’industria globale alimentare sta vivendo una rapida trasformazione. I problemi di approvvigionamento registrati dopo la pandemia e con lo scoppio della guerra lungo le catene produttive hanno messo in luce non solo la precarietà di una rete di fornitura ‘attaccabile’ e poco sicura, ma anche i costi ambientali e sanitari associati alla produzione intensiva e al consumo di carne.

L’agricoltura moderna, spiega George Monibot, attivista ambientale ed editorialista del Guardian, ha inflitto una “dispersione agricola” al mondo naturale, diventando una delle principali cause di deforestazione, perdita di biodiversità, inquinamento e crisi climatica.

Nel corso di una recente conferenza ospitata dalla Oxford Sustainable Business and Entrepreneurship Society, Monibot ha spiegato come ogni ettaro che occupiamo per i nostri scopi, è un ettaro che togliamo agli ecosistemi naturali. “Le persone sostengono che il problema sia l’agricoltura intensiva, ma la verità è che il problema non è l’aggettivo associato ad ‘agricoltura’, ma l’agricoltura stessa. È una verità difficile e scomoda da riconoscere, ma l’agricoltura è di gran lunga più nociva per il pianeta di qualsiasi altra industria”.

Sebbene sia fondamentale per fornire nutrimento alla popolazione mondiale, l’agricoltura e lo sfruttamento della terra hanno un’impronta ambientale elevatissima a causa delle emissioni di gas serra e dello sfruttamento delle acque e del suolo. Oltre un quarto delle emissioni totali di gas serra deriva infatti dal cibo[1] e metà delle terre abitabili del pianeta è usata per l’agricoltura[2]. Tre quarti della deforestazione (ovvero 5 milioni di ettari di foresta persi ogni anno) sono inoltre causati dall’agricoltura[3], che distrugge tanto la biosfera quanto l’atmosfera.

Manibot precisa che la fetta di responsabilità maggiore si deve all’industria casearia e della carne. Secondo le stime dell’UN Food and Agriculture Organization, gli allevamenti di bestiame sono responsabili di circa il 15% di tutte le emissioni di gas serra al mondo.

Uno studio dell’Università di Oxford mostra che i pascoli occupano oltre un quarto delle terre del pianeta, ma producono appena l’1% delle proteine del mondo. “Tutti noi potremmo nutrirci di carne allevata al pascolo se avessimo 12 pianeti a disposizione e nessuno spazio destinato agli ecosistemi selvatici. La carne allevata al pascolo è di gran lunga la principale ragione per questa espansione incontrollata” dice Monbiot. “Pensare di poter sfruttare un sistema produttivo del Neolitico per nutrire la popolazione di oggi non è un mito bucolico e nostalgico, in tutti i sensi”.

Certo, diffondere questo messaggio non sempre è semplice, per via di abitudini consolidate, questioni culturali e tradizioni.

SALVIAMO UOVA E PANCETTA

In questo processo di transizione, la tecnologia può e deve essere determinante per modificare in meglio la produzione e il consumo di cibo, senza rinunciare a sapori tradizionali come quelli di uova e pancetta. Questo è possibile utilizzando i batteri, ovvero, sfruttando una tecnologia chiamata fermentazione di precisione. Proprio come avviene nella produzione della birra, questo tipo di fermentazione usa microbi di origine naturale che si moltiplicano e, così facendo, creano alimenti specifici. Con l’aiuto della biologia sintetica, l’ingegneria e la tecnologia informatica, questa tecnica programma i microbi per fargli produrre proteine senza derivazione animale o vegetale con lo stesso profilo di macronutrienti di soia, carne e uova.

Un esempio di nuovo alimento sintetico è il pancake di farina di batteri testato in un laboratorio di Helsinki, composto da una “gustosa” farina gialla, chiamata Soleina, ricavata usando microbi derivanti dall’aria che crescono con una dieta a base di CO2, idrogeno e ossigeno a loro volta catturati direttamente dall’aria. Una volta terminata la fermentazione, vengono fatti seccare per produrre la farina. La fermentazione di precisone impiega molta meno terra, carbone, acqua e fertilizzante dei metodi tradizionali di produzione del cibo. Richiede 1.700 volte meno terra dei mezzi di agricoltura tradizionali più efficienti per produrre proteine e 138.000 volte meno terra per la produzione di carne. Nel suo libro, Regenesis, Monibot mostra quanto la fermentazione di precisione, combinata con le energie rinnovabili, potrebbe produrre tutte le proteine del mondo in un’area con la stessa estensione della Città Metropolitana di Londra (1.596km2).
Poiché questo processo è realizzato interamente in laboratorio, evita inoltre che acque e sostanze chimiche vengano riversate nel mondo naturale, limitando gli sprechi. Questa tecnica è già usata per produrre un’ampia gamma di cibi proteici senza carne (hamburger vegetali, bastoncini di pesce senza pesce e “nuggets” senza pollo), molti dei quali hanno già trovato spazio sugli scaffali dei supermercati, sui menù dei ristoranti e nella scelta dei fast food.

Le alternative più sane alla carne e le diete vegetali stanno diventando via via più popolari e il mercato dei sostituti della carne dovrebbe passare da circa 1,2 mila miliardi stimati nel 2025 a 1,8 mila miliardi di dollari entro il 2040, secondo le stime di AT Kearney.

Molti produttori di cibo “plant-based”, inoltre, hanno raccolto centinaia di milioni di finanziamenti negli ultimi anni per promuovere un’alimentazione più sana ed equa, una missione nella quale Pictet crede da fermamente.

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