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Perché a Bp, Exxon e Lukoil non interessa più il petrolio dell’Iraq (mentre la Cina…)

Grandi società petrolifere straniere come BP e Lukoil vogliono distaccarsi dall'Iraq. La Cina, invece, è vicina alla firma di un accordo per costruire una nuova raffineria. Tutti i dettagli

 

Il ministro del Petrolio dell’Iraq, Ihsan Abdul Jabbar Ismail, ha annunciato che la società petrolifera britannica BP e la russa Lukoil vogliono cedere le rispettive proprietà nel paese.

FUGA DA WEST QURNA E DA RUMAILA

Nello specifico, Ismail ha detto che Lukoil gli ha notificato l’intenzione di vendere la propria quota nel giacimento petrolifero di West Qurna-2, dalla capacità di circa 13 miliardi di barili. BP, invece, vuole ritirarsi da Rumaila: è il più grande deposito di petrolio dell’Iraq e uno dei maggiori al mondo, con una capacità produttiva di quasi 1,5 milioni di barili al giorno.

CONTESTO INADATTO PER GLI INVESTIMENTI

Il motivo della ritirata delle due compagnie, stando alla spiegazione offerta dal ministro Jabbar, è l’inadeguatezza del contesto iracheno. “L’attuale contesto per gli investimenti in Iraq è inappropriato per mantenere i grandi investitori”, ha detto. “Tutti i principali investitori sono alla ricerca di un altro mercato o di un altro partner. Noi, come contesto per gli investimenti, siamo inadatti”.

ANCHE EXXON VUOLE VENDERE

La settimana scorsa Jabbar, durante un’audizione al Parlamento iracheno, ha annunciato che anche la società petrolifera statunitense ExxonMobil vuole vendere la propria quota del 32,7 per cento nel giacimento West Qurna-1 per una somma massima di 400 milioni di dollari: un prezzo che il ministro ha definito “molto economico”. Ha detto anche che la Basra Oil Company, la società petrolifera nazionale dell’Iraq, sta valutando la possibilità di un accordo con ExxonMobil.

COSA FARÀ BP CON LA CINESE CNPC

La decisione di BP di distaccarsi dagli asset petroliferi iracheni rientra nel più ampio piano della società per la transizione verso le fonti di energia a basse emissioni di carbonio (low carbon), coerentemente con gli obiettivi di riduzione delle emissioni annunciati da molti governi nel mondo.

Stando alle fonti sentite dal Wall Street Journal, BP vorrebbe che le proprie attività in Iraq passassero nelle mani di una nuova azienda a sé stante, che controllerà la quota di BP a Rumaila e sarà di proprietà congiunta della China National Petroleum Corporation (CNPC), la compagnia petrolifera statale cinese già partner di BP nello sviluppo del giacimento.

Questa nuova entità sarà separata da BP, avrà un debito proprio e distribuirà i suoi profitti attraverso dividendi.

Tutta l’operazione servirà a garantire a BP maggiore flessibilità per aumentare gli investimenti nelle energie low carbon e ridurre invece la spesa nei combustibili fossili come il petrolio e il gas.

DECISIONE SIMBOLICA

Il disinvestimento di BP dall’Iraq ha anche una certa portata simbolica: la società è presente nel paese dagli anni Venti del Novecento, ed è stata la prima azienda petrolifera internazionale a rientrare in Iraq nel 2009 dopo l’invasione della coalizione statunitense nel 2003.

COSA SUCCEDERÀ ORA

BP è uno dei partner più importanti del governo iracheno, scrive Argus, portale specializzato in questioni energetiche. Nel 2009 ha ottenuto una quota del 47,6 per cento a Rumaila nella prima asta dall’inizio della guerra; opera nel giacimento assieme alla cinese CNPC e alla Somo, l’azienda statale irachena che si occupa della commercializzazione del greggio estratto nel paese.

Sono circa due anni che BP valuta la possibilità di distaccarsi dalle sue proprietà in Iraq e di consegnarle ad una nuova joint venture separata, in partnership con CNPC. La mossa permetterebbe a BP di eliminare dal proprio bilancio l’impatto negativo dei pagamenti ritardati – o assenti – del ministero iracheno del Petrolio. Allo stesso tempo, le permetterebbe di avere un’immagine più “pulita” davanti agli azionisti, vista la grande quantità di emissioni di gas serra provenienti dai giacimenti di idrocarburi iracheni: il paese non ha fatto grandi progressi nelle tecnologie di cattura dei gas.

Lo scorporo e la creazione di una nuova entità richiede però l’approvazione del ministro del Petrolio.

COSA VUOLE FARE LUKOIL

Prima di prendere in considerazione la vendita, Lukoil sperava di rinegoziare i termini del suo contratto per la formazione Yamama – la più profonda – nel giacimento di West Qurna-2. La società russa vorrebbe raddoppiare la propria capacità produttiva di petrolio entro il 2025, portandola a 800mila barili al giorno.

IL PROBLEMA DELL’IRAQ

L’Iraq estrae circa 4 milioni di barili di greggio al giorno, più di ogni altro membro dell’OPEC (l’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio) ad eccezione dell’Arabia Saudita. Eppure fatica a catturare l’interesse delle aziende straniere, che infatti vogliono abbandonare il paese. O lo hanno già fatto: nel 2018 Shell ha rinunciato alla raffineria di petrolio di Majnoon, da 240mila barili al giorno di capacità. L’azienda americana Occidental ha lasciato il settore estrattivo iracheno già nel 2015.

I motivi principali sono tre: i ritardi nei pagamenti (che BP lamenta, ad esempio), la durezza dei termini contrattuali (menzionati da Lukoil) e l’instabilità. Su quest’ultimo punto, proprio pochi giorni fa lo Stato islamico ha rivendicato un attacco con razzi Katiuscia contro una centrale elettrica.

COME AVANZA LA CINA

Intanto, il 3 luglio il ministro del Petrolio Ihsan Abdul Jabbar Ismail ha annunciato che l’Iraq è prossimo alla conclusione di un accordo con un gruppo di società statali cinesi per la costruzione di una nuova raffineria da 100mila barili al giorno.

L’impianto sorgerà nel governatorato di Dhi-Qar, nel sud del paese, e produrrà carburanti Euro 5.

Tra le società cinesi che partecipano all’investimento c’è Norinco, che nel 2018 aveva già firmato un accordo per costruire un complesso petrolchimico da 300mila barili al giorno nella penisola di Al Faw, nel sud dell’Iraq. Il progetto tuttavia, come scrive Argus, non ha fatto progressi.

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