Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha chiesto all’Unione europea di mettere dazi fino al 100 per cento verso la Cina e l’India con l’obiettivo di aggravare l’isolamento economico della Russia: i due paesi sono infatti tra i maggiori acquirenti del suo petrolio. Questo approccio duro tenuto da Trump nei confronti dell’India, in particolare – un paese molto importante per gli Stati Uniti nella regione dell’Indo-Pacifico, benché non rappresenti un alleato formale -, sembra aver diffuso la convinzione che Nuova Delhi, per reazione, finirà per avvicinarsi a Pechino: la cordialità del recente incontro tra il presidente cinese Xi Jinping e il primo ministro indiano Narendra Modi, in occasione del vertice dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, ha alimentato queste ricostruzioni.
INDIA E CINA RIMANGONO RIVALI: IL QUAD E IL CASO DELLE TERRE RARE
In verità, India e Cina sono – e rimangono – rivali regionali. Le politiche commerciali della Casa Bianca e la comune necessità di rifornirsi di petrolio russo possono aver creato delle occasioni di collaborazione, che non cancellano però le differenze e i reciproci sospetti. L’India, tra le altre cose, è un membro del Quad, il quadrilatero sulla sicurezza con Stati Uniti, Giappone e Australia dalle finalità anti-cinesi.
Lo scorso luglio il Quad ha lanciato un’iniziativa sui minerali critici per la difesa e l’energia, come le terre rare, volta proprio a contrastare la fortissima influenza della Cina sul settore. L’India possiede le quinte riserve più grandi al mondo di terre rare ma non è in grado di trasformarle in magneti adatti all’uso industriale, che importa principalmente dalla Cina.
Sulle questioni più sensibili per la sicurezza nazionale ed economica – come l’approvvigionamento di materiali critici, appunto – l’India sta lavorando per distaccarsi dalla Cina, non per approfondire la relazione. Una dipendenza estrema, infatti, metterebbe Nuova Delhi in una posizione di vulnerabilità qualora Pechino dovesse decidere di interrompere completamente le forniture (delle misure restrittive sono già state attuate).
L’INDIA TRATTA CON I RIBELLI DEL MYANMAR
A questo proposito, Reuters ha rivelato che l’India vorrebbe mettere le mani sulle terre rare del Myanmar, e per farlo ha avviato un dialogo con la Kachin Independence Army, un potente gruppo ribelle. A questo dialogo stanno partecipando la compagnia mineraria statale Indian Rare Earths Limited (Irel) e l’azienda privata Midwest Advanced Materials, che l’anno scorso ha ricevuto un finanziamento governativo per la produzione di magneti in terre rare.
Stando alla ricostruzione di Reuters, il ministero delle Miniere indiano vorrebbe ottenere dei campioni di terre rare estrarre nel Myanmar nord-orientale in modo da farle esaminare nei laboratori indiani e valutare il contenuto di terre rare “pesanti”, come il disprosio e il terbio utilizzati nella produzione di magneti.
Oltre alla trattativa con i ribelli kachin, il governo indiano ha parlato di terre rare anche con il capo della giunta militare birmana Min Aung Hlaing, che ha condotto il colpo di stato nel 2021. La giunta, osteggiata dai ribelli, può godere dell’appoggio della Cina: l’India potrebbe voler sfruttare a suo vantaggio queste divisioni e garantirsi un accesso alle riserve minerarie dello stato di Kachin.
IL DOMINIO DI PECHINO SULLE TERRE RARE PESANTI
Attualmente non esistono molte alternative alla Cina per l’approvvigionamento delle terre rare pesanti: la dominanza di Pechino sulle filiere di questo sottogruppo è ancora più forte che per gli elementi “leggeri”, come il neodimio. Le aziende cinesi controllano infatti gran parte dell’estrazione delle terre rare pesanti – sia in patria che nel Myanmar adocchiato dall’India – e la quasi totalità della fase di lavorazione.