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Ex Ilva

Vi spiego la gravità del caso Ilva

Il commento di Giuseppe Sabella, direttore di Think-in, esperto di Industria 4.0 e blogger di Start Magazine

Dopo il voto della Camera, anche il Senato si è espresso a favore della fiducia posta dal governo sul decreto Crescita. Uno dei passaggi più controversi, per cui si è discusso molto, è l’articolo 46 in cui si prevede l’eliminazione dello scudo fiscale per le società che operano nell’area ex-Ilva, limitando l’immunità penale (sull’attuazione del piano ambientale) al 6 settembre 2019 per proprietari e amministratori dello stabilimento tarantino.

Ne avevamo già parlato in tempi non sospetti: nel momento del passaggio di Ilva ad Arcelor Mittal, la mancata abrogazione dell’articolo 2 della legge 4 marzo 2015 n° 20 – “ai fini della valutazione delle condotte connesse all’attuazione dell’Aia e delle altre norme a tutela dell’ambiente, della salute e dell’incolumità pubblica le condotte poste in essere non possono dar luogo a responsabilità penale o amministrativa del commissario straordinario” – aveva fatto arrabbiare molti interlocutori sul territorio. Anche perché, al tempo della campagna elettorale per le politiche 2018, Luigi Di Maio si era preso l’impegno, poi non mantenuto, di far saltare il “salvacondotto”. È evidente, tuttavia, che nel momento dell’accordo con Mittal l’operazione difficilmente si sarebbe chiusa senza quella garanzia.

La scelta di sterilizzare tale norma del 2015 è stata fortemente avversata da parte dell’azienda che ora minaccia di chiudere lo stabilimento di Taranto il 6 settembre prossimo, giorno in cui scatterebbe – in base all’articolo 46 del decreto Crescita – lo stop all’immunità penale. “Il Governo continua a dirci di non preoccuparci, che troverà una soluzione, ma finora non c‘è niente. Quindi il 6 settembre l‘impianto chiuderà” ha detto Geert Van Poelvoorde, ad di ArcelorMittal Europa. Aggiungendo, tuttavia “abbiamo ancora due mesi, spero che il governo trovi una soluzione”.

Nonostante la replica del ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio – “io non accetto ricatti” – siamo certi che una soluzione sarà trovata. Il rilancio di Ilva è troppo importante per Taranto e per l’Italia. È di pochi giorni fa un’analisi di Svimez a riguardo: da quando l’impianto è stato sequestrato fino ai giorni nostri (2012/2019), sono andati in fumo 23 miliardi di euro di Pil, l’1,35% cumulato della ricchezza nazionale.

Da questo studio, effettuato per il Sole 24 Ore, è emerso che “l’impatto sul Pil nazionale è pari ogni anno, fra il 2013 e il 2018, a una perdita secca compresa fra i 3 e i 4 miliardi di euro, circa due decimi di punto di ricchezza nazionale. Nel 2019, questa riduzione verrà resa più onerosa dalla decisione di Arcelor Mittal di mantenere a 5,1 milioni di tonnellate la produzione di acciaio, anziché i 6 milioni promessi appena arrivati a Taranto: nel 2019, la ricchezza nazionale bruciata sarà di 3,62 miliardi. Negli anni perduti dell’Ilva, fra 2013 e 2019 è stato quindi cancellato Pil per 23 miliardi di euro, l’equivalente cumulato di 1,35 punti percentuali di ricchezza italiana”. Inoltre “il modello econometrico della Svimez, questa volta, evidenzia un dato mai emerso prima: di questi 23 miliardi di Pil, quasi sette e mezzo (7,3 per la precisione) riguardano il Nord industriale, cioè il Veneto, l’Emilia Romagna, il Piemonte, la Liguria e la Lombardia”.

Il caso Ilva ha da una parte compattato il mondo dell’industria: Confindustria, Federmeccanica, Federacciai e il mondo dell’impresa più in generale si è schierato a fianco di Mittal. Del resto, ancora una volta chi investe in Italia non si sente garantito se, in corso d’opera, cambia il quadro regolatorio in modo così rilevante. Ma non è una novità…

Vi sono tuttavia almeno un paio di considerazioni a margine da fare: in primis, tutti conoscono la complessità dell’operazione Ilva. Più che accerchiare Mittal in circostanze così delicate, vi è da chiedersi se governo e sindacati – partecipi insieme all’azienda del piano di rilancio ambientale – siano in grado di monitorarne nel dettaglio la sua applicazione. Perché se così è, e così dovrebbe essere, il discrimine vero è se si ritiene che l’azienda stia operando bene, nel rispetto degli accordi, al di là di qualche possibile criticità. Mittal non può naturalmente rispondere delle gravi responsabilità della gestione precedente che potrebbero, non è da escludere, emergere in corso d’opera. Ecco perché è importante proteggere questa fase di rilancio.

In secondo luogo, è chiaro che questo attacco che il M5S rivolge a Mittal e all’industria ha un sapore per certi versi nuovo: Di Maio e compagni, oltre a cercare di recuperare quel consenso perduto in quel territorio che prima era una loro roccaforte, vogliono dimostrare di non essere asserviti a Salvini: la Lega resta, infatti, l’interlocutore di governo del “partito del pil”.

 

Twitter: @sabella_thinkin

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