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Il pasticciaccio della legge sulle caldaie in Germania è quasi cosa fatta

La Germania si appresta ad approvare la controversa legge sulle caldaie, che prevede che, a partire dal 2024, ogni impianto di riscaldamento di nuova installazione dovrà essere alimentato da almeno il 65% di energia rinnovabile. Tuttavia pare che il ministero dell’Economia abbia fatto male i conti. L’articolo di Pierluigi Mennitti da Berlino

 

La legge sull’energia degli edifici (Geg), più nota al grande pubblico come legge sulle caldaie, sembra davvero in dirittura d’arrivo. Nel suo ultimo miglio si trascina tutte le incongruenze raccolte in quasi cinque mesi di gestazione da parte del ministero dell’Economia guidato da Robert Habeck, tanto che l’intero governo tirerà comunque un sospiro di sollievo nel momento in cui le due camere del parlamento la metteranno in archivio.

Dovrebbe accadere questa settimana, dunque prima della pausa estiva che scatterà il 7 luglio. I tempi sono strettissimi, ma i capigruppo parlamentari della maggioranza hanno in mente una road map serrata che accorcerà discussioni e dibattiti, con grande sdegno dell’opposizione. Ma, dal loro punto di vista, di queste norme s’è già parlato abbastanza.

La legge ha portato il governo a un passo dalla crisi, ha acceso discussioni infinite soprattutto fra verdi e liberali, ha incrinato i rapporti personali fra i ministri dell’Economia e delle Finanze (Habeck e Christian Lindner), che sono poi anche i due vice cancellieri, ha contribuito a trascinare in basso i consensi di tutti i partiti della coalizione e il gradimento dell’esecutivo nel suo complesso. E, secondo molti analisti politici, è anche in parte responsabile del ritorno di fuoco della destra radicale di Alternative für Deutschland, balzata al secondo posto nazionale nei sondaggi (20%, sopra l’Spd e dietro solo a Cdu e Csu unite) e in grado di conquistare in un’elezione locale il governatore di un circondario nella provincia della Turingia.

Tutto, o molto, per colpa di questa legge così impopolare il cui punto fondamentale prevede che, a partire dal 2024, ogni impianto di riscaldamento di nuova installazione dovrà essere alimentato da almeno il 65% di energia rinnovabile. Il passaggio sarà ammortizzato da un sussidio statale, modulato in contributi diretti per i percettori di bassi redditi ed esenzioni fiscali per i redditi più alti. Sono previsti anche periodi di transizione e diverse eccezioni in caso di difficoltà. La principale riguarda i proprietari di case di età superiore agli 80 anni, che saranno esenti dall’obbligo di sostituire le caldaie, che interverrà al momento del passaggio di eredità (quindi alla morte del proprietario) o in caso di vendita dell’immobile. Un’altra eccezione rispetto all’impianto originario di Habeck riguarda gli impianti di riscaldamento a gas e a gasolio esistenti, che potranno continuare a funzionare fino alla rottura, così come gli impianti di riscaldamento guasti che non dovranno essere subito sostituiti se possono essere riparati.

Tutte compensazioni che erano state introdotte a maggio dopo le proteste dei liberali e in misura minore dei socialdemocratici, i cui ministri avevano inizialmente dato il via libera ad Habeck nel consiglio dei ministri di aprile, in cui il governo aveva liquidato la bozza. Ma che non erano state sufficienti a raggiungere il compromesso finale. E infatti i tre partiti della maggioranza hanno continuato a trattare per settimane, impegnando i gruppi parlamentari in confronti serrati con il ministro e trovando proprio in extremis la quadratura del cerchio per chiudere la partita prima della pausa estiva del Bundestag.

Le ultime novità introdotte nella legge riguardano gli aspetti economici dei sussidi. Oltre al sussidio di base già previsto pari al 30% dei costi per la sostituzione delle caldaie, saranno aggiunti due modelli di sovvenzione: uno per le persone a basso reddito e uno per coloro che passano a una forma di riscaldamento neutrale dal punto di vista delle emissioni di CO2 prima di quanto richiesto dalla legge. Questo bonus, denominato “per l’accelerazione del clima” potrebbe arrivare fino al 20%.

Il limite per i lavoratori a basso reddito sarà fissato a un reddito annuo imponibile di circa 40.000 euro. Fatti due conti, in questo caso scatta dunque il secondo sussidio del 30% oltre a quello di base. I bonus possono essere combinati tra loro, in modo che una persona con un reddito annuo ad esempio di 36.000 euro possa ottenere il 60% di sussidio per il nuovo sistema di riscaldamento. Se questo proprietario di casa anticipa i tempi rispetto a quanto indicato dalla legge e dunque ha diritto anche al bonus “per l’accelerazione del clima”, in termini puramente matematici arriverebbe addirittura all’80% di copertura delle spese. È una stima teorica, dal momento che attualmente è previsto un tetto massimo del 70% dei sussidi statali. Si vedrà come il legislatore intende sciogliere questo nodo.

Ulteriore flessibilità è stata introdotta sulle date, rispetto alla data di partenza del 1° gennaio 2024. Innanzitutto, i Comuni sono ora obbligati a presentare un piano di riscaldamento al più tardi entro il 2028. La novità è che le città più grandi dovranno avere un piano di riscaldamento già nel 2026. Solo allora i singoli proprietari di casa saranno obbligati a soddisfare i requisiti della legge quando installeranno nuovi sistemi di riscaldamento. Tuttavia, coloro che non aspettano il piano termico e si adeguano prima riceveranno la ricompensa finanziaria del 20%.

Con gli emendamenti si mantiene anche l’apertura a più tecnologie, aspetto voluto dai liberali. Nella versione originaria, la normativa prediligeva in maniera quasi esclusiva il passaggio a impianti a pompe di calore. Tuttavia, negli emendamenti su cui i partiti hanno trovato l’accordo emerge la novità che i consumatori dovranno avvalersi della consulenza di un esperto di energia e impianti per essere informati sulle conseguenze dell’installazione di un certo tipo di sistema di riscaldamento.

Insomma, con tutte le modifiche introdotte nelle due fasi di trattative, la legge è diventata ancor meno chiara e comprensibile per cittadini e imprese che dovranno adeguare i propri sistemi di riscaldamento e richiederà un surplus di burocrazia per essere applicata.

Non sorprende dunque lo scetticismo e l’ostracismo con cui la normativa viene accolta dai cittadini. Secondo i dati forniti dallo stesso governo federale, circa quattro milioni di impianti di riscaldamento a gas e a petrolio negli edifici residenziali in Germania raggiungeranno l’età dell’obbligo di sostituzione di 30 anni già nel prossimo anno. E anche se solo una parte di essi dovrà essere effettivamente sostituita a causa delle numerose esenzioni già previste dalla legge, molti altri dovranno mettere mano al portafoglio in una fase economica non proprio brillante per la Germania.

Ci sarà il rischio di ingorgo, perché già oggi il settore degli impianti a pompe di calore vive un vero e proprio boom, che pone problemi nella capacità di adeguarsi alla domanda, sia per quanto riguarda la produzione che l’istallazione, data la scarsità di manodopera qualificata. E ci potranno essere rischi da un sovraccarico della rete elettrica a causa del contemporaneo crescente numero di stazioni di ricarica per auto elettriche private e di pompe di calore alimentate a elettricità. Ne ha scritto l’Handelsblatt in un articolo analitico un paio di settimane fa.

Ma quel che spaventa i cittadini (e vista l’entità dei sussidi ora anche il ministro delle Finanze Lindner) sono i costi. L’allarme lo ha lanciato la Bild: “Ufficialmente, il ministro Habeck stima i costi in circa 130 miliardi di euro entro il 2045, ma i difensori dei consumatori e le associazioni imprenditoriali avvertono che sarà molto più costoso”, ha scritto il tabloid. La Bild ha citato uno studio di simulazione realizzato dall’Fdp, secondo il quale “i costi totali del passaggio alle caldaie a pompe di calore potrebbero essere quasi 20 volte superiori rispetto a quanto dichiarato ufficialmente da Habeck”.

L’esperto per le politiche energetiche dell’Fdp Michael Kruse arriva a “costi totali di almeno 2.500 miliardi di euro” perché “quel che il ministro non calcola sono anche i costi aggiuntivi, ad esempio per l’isolamento e i nuovi radiatori”. I conti di Kruse si basano su una stima realizzata dall’associazione degli industriali tedeschi (Bdi), secondo la quale i costi totali per molte famiglie potrebbero quindi essere “a cinque o addirittura a sei cifre”.

In parole povere – conclude la Bild – “quasi 80.000 euro, in alcuni casi anche più di 100.000 euro. Habeck, invece, prevede costi aggiuntivi di una caldaia a pompa di calore rispetto all’acquisto e all’installazione di un impianto di riscaldamento a gas di 20.000 euro”.

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