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Il Gnl Usa? Ecco pregi e difetti

Quali sono le vere alternative al gas russo? Fatti e analisi nell'approfondimento di Nicola Armaroli del Cnr

 

“L’Italia è uno dei paesi più metanizzati al mondo e questo è un problema”. Questa considerazione arriva da Nicola Armaroli, dottorato di ricerche in Scienze chimiche e dirigente di ricerca del Cnr che ha cercato di spiegare perché il nostro paese deve cercare di liberarsi dalla sua dipendenza dal gas (russo o statunitense che sia) e abbracciare in fretta e con più convinzione la strada delle rinnovabili. “Noi siamo legati al gas russo da più di 50 anni, che quando noi facemmo questi gasdotti eravamo arci nemici, avevamo il muro di Berlino, la cortina di ferro eppure questo gas l’abbiamo preso da là, è stato un legame di fratellanza – ha detto Armaroli nel corso di Omnibus (La7) -. Lo stesso gasdotto si chiama fratellanza, quello che connette i campi della Siberia all’Europa e che arriva al Tarvisio. Non abbiamo mai messo in discussione il gas russo, poi è arrivato Putin”.

Putin chiede di pagare il gas in rubli

Il presidente russo, Vladimir Putin, ha comunicato di aver firmato un decreto presidenziale che “obbliga” i cosiddetti Paesi ostili a pagare il gas che acquistano in rubli. Il capo del Cremlino prova così a rispondere alle pressioni economiche messe in campo dai paesi occidentali contro la Russia attraverso le sanzioni. Gli Usa hanno messo a disposizione dei propri alleati il gas naturale liquefatto (qui l’approfondimento di Start Magazine).

Il gas statunitense non basterà

“Il gas liquido costa di più del gas russo – ha detto il dirigente di ricerca del Cnr esperto anche di energie -. Dipendiamo così tanto dalla Russia perché il gas russo era quello che costava meno, l’abbiamo fatto per una questione di mera convenienza e ora i nodi vengono al pettine”. Il gas liquido costa di più perché arriva da lontano ancora più lontano che dalla Siberia. “Deve essere prima liquefatto, a basse temperature, a 160 gradi sotto zero, quindi immaginatevi il costo economico e anche energetico di un’operazione del genere – ha aggiunto Armaroli -. Poi viene trasportato su una nave che solca gli oceani, deve rimanere a quelle temperature, arriva al rigassificatore e lì viene trasformato in gas e immesso nelle reti”.

Il costo ambientale del gas statunitense

Tutte queste operazioni hanno un costo non solo economico ma anche ambientale. “Il gas degli Stati Uniti, quello che ci dovrebbe salvare, è il peggiore di tutti perché viene prodotto attraverso il fracking: un’operazione che inquina e che, negli ultimi 10 anni, ha provocato l’aumento dell’emissione di metano nell’atmosfera, un aumento completamente fuori controllo – continua Armaroli -. Il gas naturale liquido costa di più e impatta di più”.

La dipendenza italiana dal metano

Le conseguenze di un ammanco di gas, a prescindere dalla sua origine, potrebbero essere tanto più pesanti per il nostro Paese che vive una forte dipendenza da gas metano. A ciò consegue che “c’è una grande spinta da parte delle aziende del gas in particolare Snam, ma non solo, di continuare a utilizzare il metano e soprattutto di continuare a utilizzare la infrastruttura del gas – ha sottolineato Armaroli in un’intervista sulla rivista specialistica Qualenergia -. Io voglio sottolineare con forza un fatto: il metano è parte del problema e come tale non può essere parte della soluzione. Quando i problemi sono complessi e le sfide sono difficilissime come quella attuale, bisogna cambiare paradigma: non possiamo pensare che il metano ci aiuterà”.

Il gas italiano: una strada non percorribile

Tra le varie alternative prospettate per rispondere alla carenza di gas estero c’è la produzione interna. “Le riserve nazionali di gas sono ormai esaurite. I nostri pozzi sono piccoli e dislocati in varie zone del territorio – ha aggiunto Armaroli in un’intervista -. Nel 1994 estraevamo 21 miliardi di metri cubi di gas, ora circa tre. Abbiamo smesso di estrarlo per un motivo semplice: economicamente ci conviene importarlo da Russia e altri Paesi dove hanno giacimenti immensi e di ottima qualità. In Italia, ipotizzando di estrarre tutte le risorse certe e quelle probabili arriviamo a circa 100 miliardi di metri cubi di gas, ci basterebbe per poco più di un anno. E poi cosa facciamo? Il punto è un altro: dobbiamo uscire dalla dipendenza dal metano, che peraltro ha un impatto climatico molto peggiore della CO2, quando si disperde in atmosfera. E se ne disperde non poco lungo la filiera. Peraltro nessuno lo dice ma oggi una quota pari alla metà di quanto estratto in Italia lo esportiamo ad altri paesi”.

La necessità di cambiare paradigma

La soluzione, ora che il gas russo potrebbe uscire di scena, non sarebbe quella di trovare una nuova fonte di approvvigionamento, ma cambiare paradigma. “Quando una persona ha una dipendenza, mettiamo dagli psicofarmaci o dalle droghe, il bravo medico non è quello che cerca di trovare fonti di dipendenza alternative ma prova a cercare una cura che lo faccia uscire dal tunnel – secondo Armaroli -. Quindi se noi vogliamo uscire una volta per tutte da questo tunnel ci vorrebbe quella transizione energetica di cui stavamo parlando fino a pochi giorni fa e che non dovremmo dimenticare. Adesso l’esigenza è vitale perché il vero problema è il cambiamento climatico, non dimentichiamolo. Ogni metro cubo di gas che noi bruciamo facciamo due danni: alimentiamo la guerra tra la Russia e l’Ucraina e il secondo è produrre CO2, immetterla in atmosfera e causare il cambiamento climatico. Da questa gabbia noi ne dobbiamo uscire”.

Le opportunità “morali” delle alternative al gas russo

La mappa della distribuzione delle materie prime energetiche non corrisponde alla mappa delle democrazie. “Le alternative al gas russo non sono la Svizzera, il Portogallo e la Danimarca – ha rimarcato Armaroli a Omnibus -. Le alternative sono l’Algeria, che si è astenuta dalla risoluzione ONU contro la Russia. L’altra possibilità è l’Azerbaigian. Però voglio ricordare che il gasdotto azero attraversa tutta la Turchia e noi abbiamo la memoria un po’ troppo corta. Fino a pochi mesi fa il cattivo che campeggiava sui giornali occidentali era Erdogan. Perciò stiamo molto attenti perché la nostra idea di buoni e di cattivi cambia molto in fretta perché siamo esposti. Il problema è che noi abbiamo una dipendenza, che è un termine che tipicamente ha un’accezione negativa.

La scelta obbligata dell’energia rinnovabile

Le rinnovabili sono una scelta obbligata, tanto più che l’impegno preso in sede europea è chiaro. “Noi siamo vincolati all’obiettivo di tagliare del 55 per cento le emissioni climalteranti dell’Ue rispetto al 1990 – ricorda il dott. Armaroli a Qualenergia -. Bene, a che punto siamo? Nel 1990 le emissioni erano 520 milioni di tonnellate, nel 2018 sono arrivate a 439 milioni. Se al 2030 dobbiamo raggiungere il 55 per cento significa che fra un decennio dobbiamo arrivare a 234 milionidi tonnellate. Quindi rispetto dove siamo adesso dobbiamo diminuire le emissioni di oltre il 45 per cento e questo in soli 10 anni. Quindi – e qui arriva il numero che fa venire i brividi – un taglio di emissioni del triplo rispetto a quanto fatto in precedenza in soli 10 anni anziché in 30. Significa aumentare di nove volte la velocità del processo complessivo”.

Il fotovoltaico: una strada già nota

Tra tutte le fonti di energia rinnovabile a disposizione il fotovoltaico è la più semplice da scegliere e distribuire sul territorio nazionale. “Ma con una diffusione del fotovoltaico su larga scala su capannoni ed edifici e con adeguati impianti di stoccaggio, si può produrre tutta l’elettricità di cui abbiamo bisogno, liberandoci dall’uso del gas – aggiunge Armaroli -. A casa mia ho i pannelli fotovoltaici e solari termici, accoppiati a una pompa di calore geotermica. Nulla di fantascientifico, che mi permette di essere completamente indipendente. Con i costi attuali del gas è un investimento che si recupera in cinque anni”.

Transizione green: le difficoltà burocratiche

A rendere difficile una svolta green non è solo la necessità di riconvertire un intero sistema industriale. “Voglio aggiungere ancora una cosa sulle rinnovabili – conclude Armaroli -. È vero che è difficile installare le rinnovabili. C’è stato un parere negativo del Ministero dei beni culturali sul fatto che vengano messe pale eoliche sulla diga foranea al porto di Genova, che credo sia stato progettato da Renzo Piano. Se corpi dello Stato di oppongono al progresso energetico, dobbiamo metterci d’accordo. Preferiamo che al porto di Genova entrino le navi piene di carbone e rimangano con i motori accesi a caricare il carbone? Queste cose si possono fare ma dobbiamo prendere una linea politica che al momento non c’è”.

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