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cambiamento climatico

Il caldo è di sinistra?

Perché tendenzialmente i cosiddetti “catastrofisti” sono di sinistra e i cosiddetti “negazionisti”, per la maggior parte degli scettici, sono di centrodestra. Il corsivo di Battista Falconi

 

Si leggono commenti che stigmatizzano l’ideologizzazione del dibattito sul clima e sulle alte temperature di questi giorni: in sostanza, dicono alcuni, questi sono fatti reali, con dati misurabili e spiegabili grazie alla scienza; dunque, destra e sinistra non contano. Sembra un ragionamento sensato o addirittura razionale, ma le cose non stanno così. E non soltanto perché, in Italia soprattutto ma non esclusivamente, si tende a parteggiare per qualunque argomento, ma soprattutto perché destra e sinistra hanno assunto atteggiamenti opposti rispetto al ruolo “antropico”. Una contrapposizione paradossale, peraltro: la sinistra, infatti, sposa la tesi tradizionalista e religiosa secondo cui l’uomo è per sua costituzione “peccatore” e dunque ogni azione che compie rispetto al patrimonio naturale che ha ricevuto va considerata dannosa; mentre la destra, che dovrebbe teoricamente sostenere valori di conservazione, è da tempo spostata nello scenario definito liberale, su posizioni favorevoli all’iniziativa individuale e privata.

In tale capovolgimento dei ruoli è interessante soprattutto la posizione della sinistra, che rimanda a un’evoluzione importante compiuta negli ultimi secoli. Diciamo per semplificare che – abbandonato il marxismo leninismo, l’idea della lotta di classe e della dittatura del proletariato, che aveva prodotto orribili utopie ma con il vantaggio di una esplicita inimicizia, basata sulle condizioni di ceto e di censo – la sinistra ha cominciato a sposare valori più condivisibili. Nel momento in cui è finita l’ultima guerra mondiale il Partito Comunista Italiano ha assunto la leadership dell’ampio fronte antifascista che avrebbe poi prodotto il cosiddetto “Arco costituzionale”. Il PCI si è avviato verso una posizione che qualcuno ha chiamato catto-comunista, quella che avrebbe poi prodotto l’odierno progressismo (anche se questo termine, per le ragioni che accennavamo, non è affatto fatto appropriato), una posizione che ha reso la sinistra italiana il motore di un “Partito Radicale di Massa”, secondo l’acuta analisi di Augusto Del Noce, da tenere sempre a mente.

Ora, l’antifascismo funziona ancora ed è ancora utilizzato come arma polemica, in particolare dal Partito Democratico per provare a proporsi come perno di una “Alleanza dei buoni” contro i cattivi, rappresentati dagli eredi di Berlusconi e del Movimento Sociale. Però non ha più la capacità trascinante che aveva conservato fino agli anni Ottanta e cioè, guarda caso, fino a che l’Italia era soggetta a un cupo clima di inquietudine, che aveva prodotto plumbei anni di morte. Ricordiamo, almeno noi che abbiamo l’età per farlo, che in parallelo ha fatto ingresso in politica l’ecologismo. Inizialmente, con l’auspicio di incarnarsi nella formazione autonoma dei Verdi, che conobbe grande successo in Germania ma che in Italia non ne riscosse altrettanto: a quel punto l’istanza ambientalista si è quindi diffusa, a livello sia di rappresentanze partitiche sia sociale, distribuendosi in mille rivoli che vanno dall’animalismo domestico fino alla battaglia per le grandi questioni globali, di cui poi Greta Thunberg è diventata leader indiscussa.

È più o meno per questo – ripetiamo, abbiamo dovuto delineare il percorso con l’accetta – che oggi, tendenzialmente, i cosiddetti “catastrofisti” sono di sinistra e i cosiddetti “negazionisti”, per la maggior parte degli scettici, sono di centrodestra. Ovviamente questo non aiuta un approccio corretto, pragmatico ma non indifferente, a una questione tanto complessa come i cambiamenti globali in corso; questi, pertanto, proseguiranno senza le necessarie misure di mitigazione e adattamento. D’altra parte, tutti i problemi che definiamo globali hanno un potere di trascinamento tale che le azioni politiche possono ben poco, tanto meno quelle italiane che, notoriamente, tendono a contrapporsi in sterili manicheismi tardo-ideologici.

Va però detto che l’ideologizzazione è anche giustificata dal ruolo di fulcro del modello di sviluppo che la preoccupazione ambientale ha assunto. Le normative e le convenzioni sovrannazionali hanno ormai un impatto totale sulla vita pubblica e privata. Incentivi, innovazioni, adeguamenti investono l’edilizia, l’agro-alimentare, la gestione del territorio, il trasporto: tutto finalizzato a un obiettivo, la riduzione delle emissioni, la cui centralità è però fortemente dibattuta, a livello scientifico ma soprattutto politico. Con la destra un po’ superficialmente perplessa e la sinistra molto dogmaticamente convinta.

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