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Idrogeno

Il potenziale dell’idrogeno in Italia. Il report Intesa Sanpaolo

L'idrogeno ha il potenziale di creare nuove opportunità di specializzazione e crescita in Italia, non solo per i grandi player del settore energetico. Cosa dice il rapporto della Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo.

Oltre alle fonti di energia rinnovabile e alle batterie per lo stoccaggio, “un altro protagonista indiscusso dei progetti legati alla transizione energetica è sicuramente l’idrogeno, per il quale il PNRR prevede circa 3 miliardi e mezzo di euro, tra incentivi alla ricerca e sviluppo, alla produzione e all’utilizzo”, si legge nel rapporto Transizione energetica: la filiera delle tecnologie delle rinnovabili in Italia realizzato dalla Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo.

Di seguito, un estratto.

L’INTERESSE PER L’IDROGENO

Negli ultimi anni, l’utilizzo dell’idrogeno come vettore energetico ha attirato l’attenzione di governi ed industrie, fino a diventare sempre più centrale nel dibattito politico ed industriale sulla transizione energetica. In Italia, è fortissimo il coinvolgimento dei big player del settore energetico (SNAM, Eni, Enel, A2A, Edison, Italgas, ecc.) ma anche di altre realtà manifatturiere, di ricerca e della Pubblica Amministrazione.

A livello globale, si tratta di un fenomeno ancora di nicchia ma in crescita. Secondo BloombergNEF, gli investimenti annuali in idrogeno nel triennio 2018-2020 sono stati pari in media a 1,5 miliardi di dollari a livello mondiale (a fronte di circa 300 miliardi di investimenti medi per l’energia rinnovabile nello stesso periodo). Molte tecnologie per la produzione a zero emissioni dell’idrogeno e per il suo utilizzo sono già state sviluppate ma, come spesso avviene per le innovazioni “disruptive”, non sono ancora market-ready e rimangono proibitive sul piano dei costi. Per questo, è cruciale il ruolo dei policy-maker nel creare mercato per questa tecnologia laddove ciò possa portare ad una efficiente riduzione delle emissioni. L’Unione Europea ha definito nel luglio del 2020 la strategia ufficiale per l’idrogeno, determinando una roadmap che prevede l’ambizioso obiettivo al 2030 di installazione di elettrolizzatori dalla potenza totale di almeno 40GW per la produzione di circa 10 milioni di tonnellate di idrogeno verde a livello europeo. È nata contemporaneamente la European Clean Hydrogen Alliance, una collaborazione tra imprese, centri di ricerca e autorità pubbliche per la definizione di progetti ed investimenti in questo ambito. Anche l’Italia è in procinto di pubblicare una strategia nazionale per l’idrogeno ma il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) già prevede che 3,19 miliardi di euro finanziati dal Next Generation EU (più del 5% degli investimenti previsti per la “Rivoluzione Verde” nel PNRR) vengano destinati alla promozione della produzione, della distribuzione e, soprattutto, degli usi finali dell’idrogeno.

Ci sono tre motivi principali per i quali abbiamo deciso di affrontare il tema dell’idrogeno in questo rapporto. I primi due sono di natura tecnologica: innanzitutto, la capacità di produzione di idrogeno a zero emissioni, il cd. “idrogeno verde”, dipende direttamente dalla capacità di installare potenza rinnovabile aggiuntiva oltre a quella già prevista per rientrare nei target di abbattimento delle emissioni. In secondo luogo, uno dei vantaggi che l’idrogeno potrebbe apportare alla transizione energetica è quello di fornire, grazie alla sua alta densità energetica, una soluzione ai problemi di intermittenza e stagionalità delle fonti di energia rinnovabile. Il terzo motivo per il quale l’idrogeno è rilevante ai fini di questo studio è che si tratta di un’innovazione che, proprio come è successo con le rinnovabili 20 anni fa, ha il potenziale di creare nuove opportunità di specializzazione e crescita, non solo per i grandi player del settore energetico, ma anche per la realtà manifatturiera e ingegneristica italiana, la stessa che è riuscita a cogliere il cambiamento tecnologico indotto dalla diffusione delle FER.

LE IMPRESE ITALIANE NELLA FILIERA DELL’IDROGENO

Come per l’analisi presentata nel quarto capitolo83, abbiamo utilizzato diverse fonti di dati per identificare le aziende sul territorio italiano che sono già presenti nella filiera dell’idrogeno o che sembrano intenzionate a farne parte. Questa ricognizione, lungi dall’essere completa, ha l’obiettivo di fornire alcune indicazioni sulla distribuzione settoriale, territoriale e su alcune caratteristiche strutturali delle imprese individuate. Come prima cosa, abbiamo selezionato le imprese che hanno depositato brevetti relativi a tecnologie per l’idrogeno e alle fuel cells, identificati grazie alla classificazione ENV-TECH dell’OECD84, presso l’European Patent Office (EPO). Risultano circa 220 brevetti, relativi soprattutto alla componentistica per lo stoccaggio e la distribuzione dell’idrogeno (incluse le fuel cells) ma anche a celle elettrolitiche per la produzione. Tra questi brevetti, 117 sono stati depositati da società di capitali, per un totale di 66 imprese individuate. Abbiamo poi integrato il campione con le imprese appartenenti alle due principali associazioni di categoria presenti a livello italiano ed europeo: H2IT e la European Clean Hydrogen Alliance. Il campione finale, escludendo le imprese che risultano in liquidazione al 2019, è di 133 imprese, per le quali abbiamo estratto dal database ISID85 informazioni strutturali su settore e territorio di appartenenza, data di costituzione ed elementi dimensionali (fatturato e dipendenti). Il focus non è, a differenza del quarto capitolo, solo sulle imprese manifatturiere ma su tutte le realtà, anche nell’ambito della ricerca e sviluppo, che si stanno avvicinando all’idrogeno.

Il fatturato prodotto dalle imprese del campione risulta, al 2019, pari a circa 85 miliardi di euro per un totale di oltre 130 mila addetti. Questo risultato è largamente influenzato dalla presenza di 17 imprese molto grandi (con fatturato superiore ai 500 milioni di euro). Si tratta di alcuni big player del settore energetico, delle costruzioni e anche della manifattura. Eliminando questi soggetti dal campione, il fatturato totale risulta pari a 7 miliardi di euro e gli addetti a 19.160, cifre comunque non trascurabili se consideriamo che il fatturato e il numero di addetti delle 400 imprese della filiera delle rinnovabili individuate nel quarto capitolo sono pari, rispettivamente, a 24 miliardi e 60 mila addetti.

Tutte le classi dimensionali sono rappresentate nel campione in maniera piuttosto uniforme, a testimoniare che questo processo di innovazione tecnologica non riguarda solo le grandi imprese ma può coinvolgere anche quelle più piccole. Particolarmente significativa è la quota elevata di micro imprese (con meno di 2 milioni di fatturato), che rappresentano più di un quarto del campione. Si tratta principalmente di piccole aziende attive nella ricerca e sviluppo e nella consulenza ingegneristica che operano sulla frontiera tecnologica e sono fortemente innovative: infatti il 65% di queste rientra nel campione proprio perché ha già depositato brevetti collegati alle tecnologie ad idrogeno. Sono inoltre aziende molto giovani, con un’età mediana pari a 9 anni contro i 21 del totale del campione.

I PROGETTI PER L’IDROGENO IN ITALIA

Il PNRR consegnato a fine aprile alla Commissione Europea presenta 3 capitoli in cui si promuovono la produzione e l’utilizzo di idrogeno sviluppando progetti flagship nei settori industriali hard-to-abate (2 miliardi), ovvero in tutti quei settori in cui l’elettrificazione non è una soluzione contemplabile perché necessitano di calore ad altissime temperature (come la siderurgia), o che utilizzano già l’idrogeno nelle loro produzioni (raffinazione, industria chimica ecc.); favorendo la creazione di “hydrogen valley”, facendo leva in particolare su aree con siti industriali dismessi (500 milioni); abilitando tramite stazioni di ricarica l’utilizzo dell’idrogeno nel trasporto pesante e in selezionate tratte ferroviarie non elettrificabili (530 milioni); supportando la ricerca e sviluppo e completando tutte le riforme e i regolamenti necessari a consentire l’utilizzo, il trasporto e la distribuzione di idrogeno (160 milioni). Con questi investimenti si punta a creare in Italia delle supply chain competitive nelle aree a maggior crescita, in cui si riduce il ricorso all’acquisto di tecnologie da altri Paesi per promuovere lo sviluppo interno di elettrolizzatori e di tecnologie per l’accumulo elettrochimico, che dovrebbero stimolare occupazione e crescita sul territorio.

Si aprono dunque prospettive importanti di supporto alla ricerca tecnologica del settore e di rafforzamento delle iniziative già avviate sul territorio o allo studio di fattibilità. Per avere una fotografia più completa, anche a livello nazionale, della situazione attuale rispetto a questo tema, abbiamo analizzato alcune di queste iniziative, senza la pretesa di essere esaustivi. In particolare, riportiamo tre esperienze con differenti ambiti di applicazione: utilizzo dell’idrogeno nella mobilità su gomma (Alto Adige), utilizzo nella mobilità su rotaia (Valcamonica) e possibilità di riconvertire aree portuali per trasformarle in hub di produzione di idrogeno da fonti rinnovabili (Marghera e Ravenna).

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