Il progetto di costruire l’ormai famoso nuovo gasdotto Power of Siberia 2 tra Russia e Cina dovrebbe entrare nella fase operativa nei primi mesi del 2024. Ma Pechino oppone resistenza in quella che un approfondimento del South China Morning Post inquadra come una tattica negoziale volta a ottenere ulteriori sconti sul prezzo dell’energia e forse addirittura l’esenzione dai costi di realizzazione di un’opera considerata comunque indispensabile in ottica di diversificazione delle fonti.
Pechino temporeggia.
Sta rallentando il progetto relativo alla costruzione del gasdotto Power on Siberia 2 che dovrebbe collegare Russia e Cina. Pechino sta infatti temporeggiando con l’obiettivo di convincere Mosca, che ha un disperato bisogno di trovare nuovi sbocchi per la sua energia, a concedere ulteriori sconti sul prezzo e sui costi di realizzazione dell’opera, che i cinesi vorrebbero fossero interamente a carico del partner.
Opera necessaria per entrambi.
Se completata, la pipeline trasferirebbe in Cina 50 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno precedentemente destinati all’Europa, permettendo alla Russia di fare cassa e anche alla Cina di ottenere l’agognata sicurezza energetica.
La costruzione di quel gasdotto è necessaria alla Russia per mantenere la promessa solenne fatta da Putin di destinare al mercato cinese un flusso complessivo di oltre 100 miliardi di metri cubi l’anno di gas e per integrare l’offerta della pipeline esistente Power on Siberia 1 attraverso cui passano ogni anno 67 miliardi di metri cubi.
Tattica negoziale.
Come spiega una fonte del South China Morning Post, Pechino ha ora punta a strappare concessioni alla Russia. E, secondo la stessa fonte, lo zar sarebbe sottoposto ad una “enorme pressione” per costruire una conduttura senza la quale “un’immensa quantità di gas” sarebbe sprecata facendo perdere a Mosca ingenti somme.
“Per quanto riguarda la costruzione – aggiunge la fonte – (Pechino) vuole essere sicura di non dover sopportare né i rischi né i costi. La Russia è la parte che dovrà pagare l’intero conto”.
Delusione per Putin.
Come osserva il South China Morning Post, l’attuale prudenza cinese è ben rivelata da quanto successo al Forum della Belt and Road tenutosi lo scorso ottobre a Pechino, dove il presidente russo si è presentato speranzoso di poter chiudere l’accordo sulla costruzione del gasdotto trovandosi però costretto a tornare a casa a mani vuote.
Schiaffo mongolo.
La volontà russa di procedere col progetto è testimoniata dalla recente visita nella capitale della Mongolia Ulan Bator, dove dovrebbe passare il gasdotto, della vicepremier Viktoria Abramchenko, che ha dichiarato come gli studi di fattibilità siano stati completati, stimando che i lavori veri e propri potrebbero cominciare già nel primo quadrimestre del 2024.
Ma un ex componente del Consiglio di Sicurezza Nazionale della Mongolia ha spiegato al South China Morning Post che il Paese non considera il progetto prioritario e potrebbe ritardarne l’esecuzione. “Non abbiamo nemmeno parlato dei prezzi, delle tariffe, delle tasse ecc. Si può dunque concludere serenamente che niente succederà nel 2024 relativamente alla costruzione.
Una ulteriore delusione è stata riservata a Putin dal presidente mongolo Ukhnaa Khurelsukh che, incontrato a margine del Forum sulla Belt and Road, non gli ha fornito alcun riscontro diretto sulla volontà di portare avanti il progetto.
Obiettivi di Pechino.
Sarà però Pechino ad avere l’ultima parola su un’infrastruttura che va incontro all’obiettivo del governo di diversificare le fonti e a soddisfare una domanda interna salita nel 2023 di un livello compreso tra il 5,5 e il 7% raggiungendo, secondo i dati della National Energy Administration, il quantitativo record di 390 miliardi di metri cubi l’anno.