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Guerra Fredda Energia

Perché servirà più stato nel settore energetico. Parla Bessi

"Lo so che molti storcono il naso sentendo parlare di nazionalizzazione, ma in situazioni estreme servono rimedi estremi, anche se temporanei, sull'energia". Parola di Gianni Bessi

 

Guerra fredda dell’energia?  Ecco il parere di Gianni Bessi, autore del libro Gas naturale. L’energia di domani (Innovative Publishing) ed esperto degli intrecci energia-economia-geopolitica.

Sulle fonti energetiche, soprattutto sul gas, si sta combattendo una sorta di ‘guerra fredda’ internazionale?

«Sì. Se guardiamo alla situazione mondiale, stiamo assistendo a una guerra convenzionale in Ucraina, innescata dall’invasione russa, a un conflitto per il momento esclusivamente di ‘posizione’ e di ‘ provocazione, mi si passi il termine, a Taiwan, e una guerra energetica che incide sull’economia quotidiana di famiglie e imprese, con conseguenze pesanti come l’aumento dell’inflazione. Alle spalle di questi conflitti ce n’è un altro. Quello monetario».

Che vede ancora la Cina in primo piano…

«Esatto. Mentre il dollaro diventa sempre più forte, a fine luglio la Cina ha deciso di ridurre sotto il trilione di dollari il suo apporto al debito USA. È un inizio di decoupling finanziario cinese sul debito americano in suo possesso? Non lo so, ma il fatto è che a metà agosto i cinesi hanno preso anche la decisione di effettuare un delistening da 310 miliardi di dollari delle spa cinesi dalla borsa di New York. La crescita della Cina secondo il Fondo monetario internazionale a fine anno sarà del 3,3 per cento. In netta contrazione rispetto alle previsioni. Questo sicuramente è dovuto alla politica ‘zero covid’, ma non solo. Forse c’è anche la volontà del Dragone di condizionare la crescita economica interna per influenzare anche quella internazionale».

Tornando alla ‘guerra energetica’, l’Europa cos’altro potrebbe fare?

«Se è vero che l’energia è un bene primario, da cui dipende la stessa tenuta delle nostre economie e del nostro tessuto sociale, bisogna sottrarre l’energia ai giochi del mercato e della speculazione. L’Ue dovrebbe quindi favorire azioni di il controllo pubblico delle fonti e dei canali di distribuzione in tutti i Paesi dell’Unione e attivare un meccanismo di cooperazione rafforzata tra gli Stati che hanno, fra le tante ipotesi di intervento, anche quella di nazionalizzare il settore energetico. Lo so che molti storcono il naso sentendo parlare di nazionalizzazione, ma in situazioni estreme servono rimedi estremi, anche se temporanei».

Ma le nazionalizzazioni peserebbero sui conti pubblici.

«Abbiamo avuto un esempio recente di come si può combattere una guerra globale: la pandemia da Sars Cov2. Prendiamo spunto proprio da come abbiamo e stiamo affrontando il Covid. Nel nostro caso, le risorse pubbliche necessarie a riacquisire il controllo del settore non dovrebbero rientrare nel conteggio del debito/deficit e gli squilibri nei bilanci degli enti energetici nazionali, ma andrebbero finanziate dalla emissione di obbligazioni acquistate dalla Bce. Del resto, qual è il modo migliore per raffreddare l’inflazione? Togliere all’energia la funzione di moltiplicatore dell’aumento dei prezzi e, allo stesso tempo, fare partire investimenti massicci sulle rinnovabili e su nuove infrastrutture. Ma per il momento si sta scegliendo un’altra strada, l’aumento dei tassi e la stretta monetaria. E a mio avviso questa non può essere l’unica ricetta».

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