La guerra in Ucraina non è solo un confronto militare tra Mosca e Kiev. Lo è anche tra Russia e Occidente, con gli Stati Uniti e la Nato che forniscono gli aiuti essenziali senza i quali l’ex repubblica sovietica sarebbe già stata fagocitata. È in parte dunque una proxy war, una guerra per procura, che allargando lo sguardo comprende però altri aspetti, sovrapposti: il conflitto è economico, finanziario e commerciale. E anche energetico. La Russia, una volta grande esportatore di gas e petrolio verso l’Europa, ha cambiato sostanzialmente direttrici, orientandosi verso ora i mercati asiatici e del resto del mondo. Il Vecchio continente sta ridefinendo la propria cornice, lasciando più spazio all’import di oro azzurro e nero dagli Usa e da Paesi che prima soddisfacevano quote minori: dall’Asia centrale al Caucaso, dall’Africa al Golfo. Non proprio democrazie cristalline, sia che si parli di Kazakistan o Azerbaigian, di Nigeria o Qatar, ma questa è un’altra storia.
L’UCRAINA PUNTA SUGLI USA
C’è però un altro settore in cui la frattura energetica tra Russia e Occidente si manifesta ed è quello del nucleare: e proprio l’Ucraina è il teatro europeo in cui si assiste con più evidenza al cambiamento dei tempi. Kiev, nonostante il disastro di Chernobyl del 1986 e la guerra con la Russia, che ormai da oltre due anni vede la centrale di Zaporizha, la più grande d’Europa con i suoi 6 reattori, a costante rischio incidente, continua a fare affidamento sull’energia atomica. Anche più di prima. La scorsa primavera è stata posata infatti la prima pietra per la costruzione di due nuovi reattori nucleari nella centrale di Khmelnitsky. Attualmente qui ne sono operativi due, ancora di generazione sovietica, come quelli in funzione nelle altre due centrali del Paese, Rivne e Yushniukrainsk. I due blocchi di Khmelnitsky saranno realizzati da Westinghouse, il colosso statunitense che con Kiev collabora già da qualche anno, con la prospettiva di sostituire progressivamente la vecchia tecnologia targata prima Urss e poi Russia con la propria.
La prima crisi ucraina del 2014, con il cambio di regime a Kiev, l’annessione della Crimea e l’avvio della prima guerra nel Donbass, ha accelerato il processo. I nuovi reattori a stelle e strisce del tipo AP 1000 dovrebbero entrare quindi in funzione nel 2030, se il calendario, conflitto in corso permettendo, verrà rispettato. Westinghouse sta progettando anche lo sviluppo di mini moduli, gli AP 300, con l’intenzione di allargare la quota del nucleare nel mix energetico ucraino nei prossimi decenni. Gli Stati Uniti prenderanno così gradualmente il posto della Russia.
L’AVANZATA DI WESTINGHOUSE NELLA NEW EUROPE
La competizione tra Westinghouse e Rosatom, il colosso statale di Mosca per l’energia atomica, è evidente non solo in Ucraina, ma in vari paesi dell’Europa orientale. Il gigante statunitense aiuterà anche la Polonia ad intraprendere questa strada, con Varsavia che costruirà la prima centrale a Lubiatowo-Kopalino: anche qui, come in Ucraina, saranno costruiti reattori AP1000, con i lavori che dovrebbero iniziare nel 2026 ed essere conclusi nel 2033. La Polonia aveva in progetto di costruire negli anni Ottanta due centrali con la tecnologia dell’Urss, ma i piani rimasero sulla carta a causa del crollo della Cortina di ferro. In Repubblica Ceca Westinghouse inoltre pianifica l’espansione delle centrali di Dukovany e Temelin con reattori AP 1000 e AP 300 che andranno a sostituire i VVER di epoca sovietica.
Si tratta in ogni caso di un duello, quello tra Russia e Usa sul nucleare in Europa, che si gioca sui tempi medio lunghi e allo stato delle cose, Rosatom non sembra soffrire molto della concorrenza, anche perché sul Vecchio continente altri reattori sovietici sono ancora operativi in Bulgaria, Slovacchia e Ungheria, dove la centrale di Paks sarà ampliata con la collaborazione della Russia. E poi c’è la questione dell’uranio.
ROSATOM E LA PRODUZIONE DI URANIO
L’Unione Europea ottiene infatti circa il 40% del suo combustibile nucleare dalla Russia e dal Kazakistan, ex repubblica sovietica dell’Asia centrale che dal crollo dell’Urss ha condotto una politica estera, per così dire, multivettoriale, ma è rimasta in sostanza un buon alleato di Mosca. Recenti studi della Nuclear Free Future Foundation, della Federazione tedesca per la conservazione della natura (Naturschutzbund Deutschland) e dell’Agenzia federale austriaca per l’ambiente (Umweltbundesamt Österreich) hanno mostrato come, sebbene la Russia compaia nella lista dei maggiori produttori di uranio grezzo solo sotto la voce “ulteriore lavorazione”, in realtà controlli oltre alle proprie miniere anche circa un quinto della produzione di uranio del Kazakistan, la più grande del mondo. In pratica Astana e Mosca, di fatto al secondo posto, controllano quasi metà della produzione mondiale (circa 23.700 tonnellate su 49.300, secondo i dati del 2022 della World Nuclear Association). In totale l’Ue importa il 99,5% dell’uranio naturale e se appunto circa il 20% arriva alla Russia e altrettanto al Kazakistan, viceversa il 12% della produzione kazaka e il 90% di quella russa vanno in Europa.
Rosatom, nonostante la guerra in Ucraina e alla luce del fatto che il settore del nucleare non è stato soggetto a sanzioni da parte di Bruxelles, continua quindi a collaborare con i paesi dell’Unione europea e non solo. Il braccio atomico del Cremlino copre circa il 26% dei servizi di arricchimento dell’uranio in Europa e esporta prodotti di uranio arricchito, in Francia, Germania, Spagna, Gran Bretagna, Belgio, Svezia, Finlandia, Svizzera e Repubblica Ceca. Il 48% delle esportazioni di Rosatom nel campo dei servizi di arricchimento sono destinate a questi Paesi, mentre le esportazioni verso Usa, Canada e Messico rappresentano il 36% del totale. Gli Stati Uniti hanno bloccato l’importazione di uranio russo (il 12% degli acquisti di Washington sulle piazze mondiali) solo a maggio del 2024. Circa il 30% delle vendite estere di Rosatom provengono dai ricavi del ciclo del combustibile.
La società russa è una holding globale che comprende circa 300 aziende, impegnate sui vari fronti: fornisce così combustibile a 21 reattori nucleari sparsi nell’Unione europea e Paesi dove sono in funzione i vecchi reattori sovietici: Bulgaria, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca, dipendono al 100 per cento dal carburante Rosatom. Anche la Finlandia per i due blocchi della centrale di Loviisa dipende dalla Russia per una quota del 35% sul totale importato. Progetti di collaborazione rimangono attivi sottotraccia a causa dei legami storici che non possono essere tranciati senza conseguenze e che in ogni caso non sono stati sino a ora sottoposti a misure restrittive dalla comunità occidentale. Così come illustrato nel rapporto dell’Umweltbundesamt Österreich nel 2022 Rosatom collaborava ancora con aziende europee in Francia (Framatome e GE Alstom), in Germania (Siemens, Nukem), in Ungheria (All EEM) e in Repubblica Ceca (ARAKO). I legami tra Rosatom, Framatome, Siemens, GE Steam Power e Alstom riguardano nuovi progetti di costruzione di centrali nucleari russe anche fuori dall’Europa, da quella di Akkuyu in Turchia a quella di El Daaba in Egitto.
Insomma, se Gazprom, la holding statale del gas, è stata il braccio energetico del Cremlino dall’inizio degli anni Duemila alla metà dello scorso decennio ed è servita, a causa della dipendenza simmetrica, a tenere buone le relazioni tra Russia ed Europa, la sua funzione si è esaurita con la decisione di Mosca, partita già dal 2014, di rivolgersi verso Oriente; e questo naturalmente ancor di più dopo l’invasione dell’Ucraina nel 2022. Rosatom, a sua volta, rimane invece a livello europeo un partner non immediatamente sostituibile e continua a tenere rapporti con vari paesi, nonostante la volontà di altri attori, come Westinghouse, di volersi sostituire ad essa. Il processo non è però né semplice né di breve periodo, inserito nel contesto dell’estrazione dell’uranio e dei cicli di produzione dei combustibili nucleari. Da questo punto di vista la Russia e Rosatom paiono godere ancora di una posizione favorevole, considerando che se da un lato la tendenza di fondo delle economie mondiali è quella di abbandonare gli idrocarburi e puntare sulle rinnovabili, l’energia atomica viene considerata fondamentale nella lunga via della transizione verde.
(Articolo pubblicato sull’ultimo numero del quadrimestrale di Startmag)